Elogio dei Piedi

Elogio dei Piedi

Erri de Luca, Paolo Rumiz e la rivoluzione equilibrista del Piede Nudo

Anch’io, come Wallace Stevens, temo Settembre.

Richiamati all’ordine, nell’attesa di essere ordinati, ricevere una direzione, che raddrizzi il continuo vortice di stagioni che si ripetono.

E allora ripartiamo a passo lento, e concentriamoci sui piedi, son loro soli il primo aiuto da cercare, arto asciutto, agile e leggero, per ritrovare un po’ questa direzione.

Nei giorni scorsi ovunque in Italia come me hanno sentito bisogno del funk del piede nudo, e l’epica della Marcia degli Scalzi* ha avuto luogo.

Piede nudo segno di adesione: al suolo, ma non solo. Segno di presa. Presa sul terreno, presa di coscienza. Segno di equilibrio. Nudo, indica il rispetto per il luogo. Nudo, indica la fatica del migrare, dell’abbandono.

A Roma la Marcia è partita dal centro Baobab, a Milano ha aggirato la Darsena. Poi Bari, Palermo, Napoli, Firenze, Torino, Venezia, Bologna, Parma, Genova, Trieste. Tutta la penisola ha rivendicato le sue origini marinare. Popolo condannato all’accoglienza da sempre, poco contano i proclami dei re d’Europa. A noi piace di più la sabbia tra le dita, l’abbiamo sempre preferita.

Ad aiutare questa nostra ricerca da palombari, verso il Sud del nostro corpo, porto due pezzi esagerati: una poesia di Erri de Luca e un tamburo di Paolo Rumiz, che ci ha già abituato al ritmo endecasillabo del viandante.

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Elogio dei Piedi | Erri de Luca

Perché reggono l’intero peso.

Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.

Perché portano via.

Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.

Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.

Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.

Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.

Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.

Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.

Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.

Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.

Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.

Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

Perché non sanno accusare e non impugnano armi.

Perché sono stati crocefissi.

Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.

Perché, come le capre, amano il sale.

Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

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Elogio delle Scarpe | Paolo Rumiz

Un giorno la maestra elementare

mi disse che scrivevo con le scarpe,

oppure con i piedi, non ricordo,

e io che ero affamato di orizzonti

e divoravo libri d’avventura,

io mi offesi molto, per davvero,

ma non per la scrittura. Per le scarpe.

Le fiabe che la nonna mi diceva

erano sempre legate alle scarpe,

la voce sua galoppava lontano,

sembrava passo lungo di pianura,

diceva di stivali e sette leghe,

di monti da scalare e di vallate,

e ripeteva “cammina cammina”.

Gli anni passarono e un giorno scoprii

che il verso greco si divide in piedi.

Ancora scoprii che in arabo “viaggio”

si dice pure “libro”, e in lingua ebraica

la più importante delle narrazioni

è l’Agadà sul viaggio dall’Egitto.

Da allora mi decisi a riscattare

le scarpe denigrate ingiustamente

portandole a strumento di scrittura.

Ricordo una per una le mie suole

sporcate nella polvere del mondo:

quelle calzate in Polonia e Turchia,

e pedule leggere dell’Afghanistan,

i sandali portati all’equatore

Le strade hanno una voce, son sicuro,

le scarpe sono fatte per sentirla.

Io batto con il piede terraferma,

“endeca, endeca”, e subito sento

il magico polmone della terra

che detta alla mia mente versi pieni.

Oggi son convinto di una cosa:

non è con il taccuino o con le mani

ma con i piedi che credo si scriva.

Come si sente il narrare rotondo

che viene da chi molto ha camminato!

Guardate un uomo che vien da lontano

in un sentiero in mezzo alle colline.

Se ha passo regolare, è garantito

che anche il suo narrare sarà buono

e il sacco suo ben carico di storie.

Per questo un ciabattino per me conta

forse di più che un bravo stampatore.

Viva le scarpe, dunque, impolverate;

le scarpe di mia nonna e di mio padre

e quelle mie, ingiustamente umiliate,

perché mi hanno dettato la scrittura.

 

*La Marcia degli Scalzi è stata organizzata il 10 e l’11 settembre e ha visto migliaia di persone manifestare senza scarpe per vie delle principali città italiane, a testimoniare vicinanza ai migranti, dopo gli eventi degli ultimi giorni.

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