Di Umani a Milano e un gatto che muore tutti i giorni
Volevo raccontarvi la storia di un gatto che muore tutti i giorni. Una storia che fa ridere, giuro. Ma nel mettermi a studiare il padrone che ne racconta i ripetuti decessi ho scoperto che, in realtà, oltre che di gatti, si occupa soprattutto di esseri umani. Di storie. Di volti. Di racconti fugaci e rubati per strada. Stefano D’Andrea ama definirsi “il ciccione che pulisce il sedere al gatto” (poi questa ve la spiego) e dopo aver vissuto a New York è tornato nella sua Milano per farci pace. Lì e da là nasce il progetto Umani a Milano (liberamente e dichiaratamente ispirato al noto “Humans of New York”). Umani a Milano “è uno specchio a disposizione della città. Ogni ritratto con una didascalia racconta cinque minuti di vita di un milanese a caso che incontro per strada e che si lascia disturbare per uno scatto e due parole”. Nel marzo 2014 Umani a Milano è diventata un’associazione di persone che hanno, insomma, una simile visione del mondo.
Stefano D’Andrea, quindi, ha dato vita a questo progetto. E chi è questo primo Umano di Milano?
Beh, diciamo che nelle vite precedenti sono stato educatore, insegnante universitario, orientatore universitario (eh?), scrittore… Pensa, pure biografo. Racconto storie in tutti i modi. Storie vere e storie inventate. Ci sono persone anziane, che magari non hanno tutti gli strumenti per farlo, che magari vogliono lasciare un ricordo ai propri cari e io li aiuto in questo. Ascolto storie e le racconto, semplicemente.
Questo mi porta ad anticipare la domanda che di solito riservo alla fine perché sembri troppo infervorato sul tema delle storie. Sbaglio o c’è di mezzo per te quello che è il sale della vita?
Anche. Raccontare storie è una cosa che mi fa avere fiducia nel mondo. È una cosa che mi fa pensare che le persone non sono davvero come sembrano. Che sono meglio. Quello che ho capito è che le persone, in gruppo, sono sempre un filo peggio di come sono in realtà. E prendendole singolarmente singolarmente te ne rendi conto. Sai, sono un sociofobico, in realtà. Un misantropo. Insomma, mi stanno tutti sul cazzo. Eppure ho iniziato a sperare che la gente non fosse davvero come sembra. E non mi sono sbagliato.
Umani a Milano è un collettore di storie, quindi.
Ecco, hai presente quando apri una porta per sbirciare dentro una casa poi chiudi subito? Umani a Milano è questo. Una foto, una breve didascalia e il gioco è fatto. È un essere umano con il suo vissuto.
Ma come nasce questo progetto?
Umani a Milano è il modo che ho avuto per innamorarmi di nuovo della città in cui vivo. Nel 2004, infatti, sono andato a vivere a New York e me ne sono innamorato. Per contrasto, da quel momento, ho iniziato a vedere e odiare tutti i difetti di Milano (e della sua gente). Al punto che mi sono detto: devo conoscerla meglio! Volevo che la mia città mi dicesse: anche io non sono così male. E la risposta che ho avuto è stata positiva. Ho capito, quindi, che dovevo condividere questa risposta per tutti quelli che, come me, l’hanno sofferta. Per migliorarne la visione e la vita. Del progetto originario, mutuato dall’idea di Brandon Stanton, ho preso il linguaggio. Una foto, uno sguardo in camera, una didascalia.
Con Umani a Milano, tra l’altro, stai per sbarcare in Darsena.
Ci arrivo proprio in nave. Scherzi a parte, da anni volevo mostrare il progetto al di fuori di internet. Dall’isola felice di internet che sarà pure felice ma isola è. Ho già fatto due mostre e anche questa volta, in Darsena, si tratterà di una mostra narrativa, non semplicemente fotografica. L’esposizione sarà dal 16 Settembre al 5 Novembre in uno spazio espositivo che il comune ci ha concesso.
Bene. Ora veniamo a te. Perché quando non fai foto alla gente, a quanto pare, cazzeggi con un gatto che è diventato una start del web. Più di ventimila fan, una linea di merchandising a suo nome e una caratteristica molto singolare: questo gatto muore tutti i giorni e la gente non vede l’ora che muoia. Chi è GATTO MORTO?
Questo gatto siberiano è impattato nella vita mia e di Betta (la mia compagna) 2 anni fa. Volevamo un gatto ma Betta è allergica. Poi abbiamo scoperto che il gatto siberiano non produce l’allergene che genera il problema. Quindi ci siamo buttati su questo cucciolo che, nel frattempo, è diventato un ciccione peloso.
E si chiama?
Allora. Ci sono cose che si possono dire e cose che non si possono dire. Vi dirò solo il nome: MIKA.
Intorno a questo gatto è nato uno storytelling un po’ particolare…
Una mattina l’ho visto in quella posizione che ormai tutti conoscono. Una sagoma a pancia in su e gambe per aria. Sembrava la scena di un telefilm noir. Così l’ho fotografato e l’ho messo sulla mia pagina con l’escamotage della narrazione in prima persona. Con la voce del gatto. Mi sono immaginato una scena di morte, quasi come quella del finale di “American Beauty” dove Kevin Spacey racconta dello sparo. Beh, da lì sono arrivati “mi piace” e consensi a fiume al punto tale che ho deciso di crearne un personaggio. GATTO MORTO, appunto. E ogni giorno, quando lo becco dormire in quella posizione assurda, in prima persona, racconta la sua storia. Quando parla di me non è molto carino, visto che mi definisce “il ciccione che mi pulisce il sedere” ma tant’è… Non ha tutti i torti, ecco.
Mika muore ogni giorno per una causa sempre diversa, insomma. Poi un giorno è finito addirittura in una marca di tazze. Vuoi dirmi che anche questo progetto, però, ha un senso profondo?
Sì! Sono state prodotte 200 tazze vendute in un negozio di Milano a 16€ l’una e sono andate a ruba! Quasi come se ci fosse una perversione sul gatto morto. Penso che questo progetto continuerà anche al di là del discorso merchandising. Insomma, la gente mi chiede “dacci oggi la nostra morte quotidiana” ed eccola servita. Sono contento di GATTO MORTO perché, nel mio piccolo, mi ha aiutato a sdoganare due temi fondamentali: i gatti sui social con un senso e la morte su internet senza cadere in discorsi che tutti conosciamo.
Niente, a forza di sentire parlare di GATTO MORTO, com’è, come non è…niente, sono morto.
[…] gatti morti (forse solo momentaneamente scomparsi, non state in […]