A hero never dies – ovvero, che fine hanno fatto i supereroi?
Un tempo il (super)eroe non esisteva senza un (super)cattivo, che aveva il compito di definirlo, di specificarlo e, in definitiva, di farlo crescere. Il supereroe nasceva senza dubbio da questa dicotomia, da questa continua lotta con la sua controparte cattiva, cioè con quello che sarebbe potuto diventare, se avesse usato i suoi poteri non a fin di bene. E cosa gli permetteva di usarli a fin di bene? Il cattivo, naturalmente. Finiti i cattivi, gli eroi cosa possono fare, se non diventare cattivi a loro volta?
Non è un caso, dunque, che i supereroi più amati fossero quelli coi cattivi più interessanti, cioè con cattivi dotati di una loro storia (spesso strappalacrime) e di un loro ruolo. Possiamo, è facile, enumerare molti dei supercattivi di Batman o di Spiderman (almeno tre per ciascuno, su dai, impegnatevi!). Al contrario, non riusciamo a farci venire in mente più di un cattivo o due, per esempio, per Thor o per Green Lantern (per Acquaman neppure uno, giuro). Di Iron Man ne conosciamo giusto tre perché è il numero dei film fatti, ma vi sfido a ricordare i veri nomi dei tre cattivi. O la storia alla loro spalle.
Il cattivo ha sempre avuto un ruolo molto specifico ed importante, nella dinamica del supereroe: fare ciò che la tenebra fa con la luce. Definire l’eroe, innanzitutto, ma non solo. Il grande ruolo del cattivo è sempre stato quello di far crescere l’eroe, facendogli conoscere parti di sé che prima non conosceva, facendogli affrontare luoghi oscuri della propria personalità, che altrimenti non avrebbe affrontato, in una progressione ascensionale tipica dell’epos – moderno, in questo caso. Quasi una scalata all’Olimpo, una ricerca del Graal fatta di varie prove. Oppure una discesa nel compromesso, con se stesso e con mondo, come succede con Batman, grande interprete di questa dicotomia fra buoni e cattivi. Non serve rimanere nel mondo dell’eroe da fumetto per capire questo binomio. Lo spiega Yoda a Luke, durante il suo allenamento, tanto per fare un esempio. E lo sa bene pure il nostrano Ratman, che di supereroi ne sa a pacchi, essendone una parodia (ma non solo):
Eppure da alcuni anni questa tendenza sta cambiando, ad opera soprattutto della Marvel cinematografica (cioè della premiata ditta Disney/Marvel). Prima, però, di addentrarci nel problema, mi piace ricordare la ragione per cui la Marvel è pervenuta alla popolarità cinematografica con alcuni decenni di ritardo rispetto, per esempio, alla DC (il primo Batman di Tim Burton è del 1989). E ancora, per quale ragione a tutt’oggi i diritti cinematografici di Spiderman (primo film del 2002) siano detenuti dalla Sony. Per la stessa ragione bisognerà arrivare al 2008 di Ironman (no, non considero I Fantastici 4 un film), per ottenere la piena indipendenza cinematografica della Marvel. Il motivo di tanta insicurezza è, in realtà, il primo film di supereroi della Marvel (correva l’anno 1986): si chiamava Howard il Papero (e no, anche se è diventato teneramente vintage, non è diventato teneramente un bel film). Vi prego, guardatelo:
Nonostante l’indelebile ricordo di Howard, la Marvel/Disney ha prima preso piede e poi monopolizzato il mercato supereroistico degli ultimi anni, apportando un cambiamento radicale alla figura del supereroe. La prima cosa che risalta evidente è la mancanza di supercattivi di spessore, capaci ciò di portare un cambiamento nell’eroe o almeno portatori di una storia importante sulle spalle. Ne è un perfetto esempio l’ultimo film sugli Avengers, dove Ultron non ha motivazioni reali, né ha una personalità strutturata (è una macchina ma si arrabbia come un uomo? Vuole distruggere il mondo per salvarlo dall’umanità, ma in realtà vuole solo fare una ripicca da prima elementare a Stark? Suvvia, non prendiamoci per i fondelli…), tanto che la battaglia veramente bella del film avviene fra Iron Man e Hulk che sarebbero, guarda un po’, due dei “buoni”.
Stesso discorso vale per I Guardiani della Galassia, dove Ronan neppure si capisce perché stia facendo ciò che fa ed è un peccato, dal momento che nel fumetto Ronan l’Accusatore Supremo ha una storia imponente alle spalle, fata di codici d’onore, nobiltà e umana (umanoide, in realtà) disobbedienza agli ordini. È difficile anche immaginare una evoluzione degli eroi protagonisti, di fronte a tali antagonisti. Sempre rimanendo sull’ultimo film degli Avengers, la colpa di TUTTO è di Stark, che attiva Ultron e pone l’umanità sull’orlo di una chiassosa estinzione. Eppure in tutto il film nessuno – men che meno il suo ego – gli ricorda questo piccolo particolare, anzi gli permettono di continuare a fare il suo lavoro, attivando nuove superentità. Il personaggio di Stark è in qualche maniera progredito? No.
Le motivazioni di questo cambiamento sono molteplici e si intrecciano fra di loro in un groviglio tale da rendere difficile discernere cosa sia causa e cosa effetto. Innanzitutto c’è il problema delle serie televisive, cioè della fidelizzazione. Nulla fidelizza di più uno spettatore di una serie televisiva, perché è ripetizione infinita di un pattern prestabilito, una sorta di eterno ritorno mediatico. Ci si affeziona ad uno o più personaggi e li si guarda ripetere sempre le stesse azioni in ambiente lievemente diversi. Tutto ciò, ovviamente, crea un legame col personaggio, ma anche una sorta di “tranquillità”, cioè di coscienza che i cambiamenti sono destinati a rimanere confinati all’interno di una sorta di zona sicura, fatta di piumone e popcorn sul divano.
Le serie televisive hanno, per molto tempo, rincorso il cinema ed imparato da lui, tanto che oggi abbiamo molte serie televisive “cinematografiche”, sia come realizzazione che come interpreti (cito su tutte la splendida True Detective e House of Cards). Da alcuni anni, però, si sta assistendo al fenomeno inverso: il cinema copia i mezzi comunicativi delle serie televisive. O almeno un certo tipo di cinema, prettamente hollywoodiano (si tratta innanzitutto di una questione economica, nella Hollywood in perenne crisi degli ultimi dieci anni: better safe than sorry, dicono da quelle parti; ma non mi interessano le implicazioni pecuniarie, quanto quelle artistiche e morali). La Marvel/Disney ha capito perfettamente la lezione della televisione: se volgiamo massimizzare il guadagno di un prodotto, bisogna fidelizzare lo spettatore, anche al cinema, come sul divano.
Ecco dunque che i film Marvel seguono un pattern comune, nel quale rientra il cambiamento del rapporto buoni/cattivi. Se ogni film altro non è che una puntata di una immensa serie televisiva, il cattivo di turno risulta quasi una comparsa, come il “mostro della settimana” di X-Files (mi commuovo!), perché ciò che davvero conta è l’eroe, al quale lo spettatore si affezionerà. A sua volta, all’eroe non è richiesto di fare chissà quale cambiamento o avanzamento ed è meglio che questi cambiamenti siano “umani”, anziché “superumani”. Ecco dunque Stark che si dà all’alcol nel secondo orribile Iron Man, o la liaison amorosa fra Banner e la Vedova Nera. Intendiamoci, questa nuova tendenza permette di conoscere meglio il lato umano dei supereroi e quindi potrebbe avere anche qualche nota positiva, ma appiattisce molti lati dello stesso eroe. E del cinema in sé.
Il secondo cambiamento è avvenuto nel pubblico. Non sarà difficile notare che questi “nuovi” supereroi sono tutti mediamente bellocci (molto più di mediamente, diciamocelo). Questa scelta non riguarda una qualche kalokagathia di stampo epico (i vari Batman non sono stati così belli, forse interessanti, affascinanti…), ma la presa di coscienza che il pubblico sta cambiando. E la volontà di piacere a tutti. Se un tempo, infatti, i fumetti erano roba da nerd brufolosi dediti all’informatica ed all’onanismo, oggi essere “nerd” è diventato una moda (e quei nerd onanistici di cui sopra dirigono multinazionali), che colpisce anche la popolazione femminile. Non voglio entrare nel dettaglio di cosa rimanga di una sorta di sottocultura snaturata dalla moda, ma ormai sono tutti nerd, geek ecc e lo dicono con vanto. Non è semplice capire se sia prima avvenuto il cambiamento cinematografico e poi la moda, o viceversa, ma poco importa. Ecco dunque che il film sui supereroi deve andare a pescare in tutti i possibili strati dell’utenza, sia fra chi i fumetti li legge davvero e non vede l’ora di ammirare l’eroe in movimento, sia fra chi lo fa per moda, sia fra le ragazzine che vogliono vedere gli addominali di Thor (che nel fumetto indossa imbarazzanti elmi con le alette e stivaloni di pelle gialli). La dicitura “film per tutti” assumo così un nuovo significato. Emblematico è il caso del Mandarino, ultimo avversario di Iron Man. In origine cinese con una storia che si intreccia con la rivoluzione maoista, nel film è un attore al soldo del vero cattivo, un super scienziato americano. In questa maniera il film è stato distribuito anche in Cina, senza alcun problema di censura (per la cronaca, negli ultimi anni la Cina è diventata il primo “consumatore” della Marvel).
Abbiamo così delineato un quadro di marketing cinematografico, ma anche culturale, di portata vastissima, che prevede film tutti uguali fra di loro, cattivi inesistenti, eroi sempre uguali o quasi, ma tutti rigorosamente bellissimi, pubblico il più ampio possibile. Il nuovo Ant Man segue la scia: ora che il sistema è avviato e rodato, la Marvel può venderci qualunque suo prodotto, basta che sia realizzato come i precedente. Anche un reboot di Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (ma con più calzamaglie) va bene. Ant Man è belloccio (attore semisconosciuto, ma di sicuro successo da domani, esattamente come il Chris Pratt dei Guardiani), un nemico inutilissimo (Calabrone, cristoddio, un tempo sarebbe stato reato chiamare un supercattivo così….) e un sacco di spazi morti riempiti di comic relief da commedia americana con le risate in sottofondo, altro marchio di fabbrica Marvel. (Faccio una profezia, ma non ditelo in giro: ci venderanno anche un remake di Howard, prima o poi. E ci piacerà).
Siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione, nel bene (poco, a mio avviso) e nel male, e le altre case produttrici, la DC in primis, stanno correndo ai ripari. L’universo condiviso Marvel altro non è che una gigantesca serie televisiva. Nell’era delle serie televisive, si tratta di una scelta sicuramente vincente. Qualcuno o qualcosa, però, perde. Si tratta della capacità immaginifica ed innovativa del cinema. Cioè dell’anima del cinema stesso.
[…] trovo che i linguaggi delle serie televisive non mi siano congeniali (ne abbiamo già discusso altrove), anche quando pescano, come negli ultimi anni, a piene mani dal cinema, anche come cast, e sono […]
[…] molto ben caratterizzato, come non se ne vedevano da tempo, neppure nel cinema americano (Ultron mi leggi?). Una specie di figlio romano dell’ambiguità e del caos del Joker di […]
[…] anche noi complici nella realizzazione di prodotti in serie destinati al consumo di massa, al junk movie, che ti rende solo capace di chiederne […]
[…] americano che ormai deve solo pensare al botteghino, dove le idee nuove sono rischiose e vincono i film seriali di casa Marvel, I Magnifici Sette si inserisce in un sentiero già ben battuto, ma con l’intento – nobile – […]