“Al Mio Paese”: quando la cultura è la chiave di (s)volta

“Al Mio Paese”: quando la cultura è la chiave di (s)volta

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Il ritorno è un legame forte tra il passato il presente. Il ritorno, infatti, il passato lo lascia ma non lo dimentica. Del passato ne fa tesoro e materia per ricostruire il presente, con i suoi valori, i suoi insegnamenti, gli errori dai quali si apprende e l’orgoglio per le conquiste ottenute a fatica. Il ritorno a qualcosa, a un concetto, a un’idea, è un viaggio che può essere anche solamente culturale ma che non perde l’essenza di cambiamento che il viaggio ha insita in se stesso. Il ritorno è qualcosa di cui, a volte, c’è davvero bisogno.

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È anche questo, dunque, lo spirito con cui è nato il percorso culturale di “Al Mio Paese”. Al Mio Paese, infatti, è prima di tutto un libro di Melania Petriello: un viaggio inedito nelle viscere di un Paese, il nostro, viziato e virtuoso. L’obiettivo di questo volume, che raccoglie i saggi di nove eccellenti giornalisti italiani è quello, nelle parole dell’autrice, di “dare ossigeno alle notizie che smettono di essere cronaca e ancora non sono memoria”. Al Mio Paese rilegge l’Italia attraverso lo spettro dei sette vizi capitali nella storia, nella cultura sociale e nell’eredità identitaria che ci portiamo dietro. Si parte dalla Strage di Capaci passando per il Concilio Vaticano II e il delitto Pasolini. Si parla del Colera del ’73, del nuovo meridionalismo, del Codice Da Vinci, dei rigurgiti postunitari e del crollo della DC. Ma, soprattutto, si parla della vera metastasi genetica del nostro Paese: la corruzione.

Al Mio Paese, però, non è rimasto solo un libro. Subito è diventato uno short film girato e diretto da Valerio Vestoso, con le musiche del maestro Vanni Miele. Un video che parla per immagini e suoni e che a ogni visione ci dice sempre qualcosa di nuovo. Al Mio Paese, inoltre, è diventato anche un contest redazionale promosso da Repubblica Scuola e che ha preso il nome di “Legalità e Libertà”. Il concorso si è concluso con le premiazioni avvenute in occasione della prima di quella che è, infine, l’ultima declinazione, in ordine cronologico, di questo progetto: lo spettacolo teatrale “Al Mio Paese”, rimasto in scena al teatro Eliseo di Roma fino al 21 Marzo ma che presto avrete modo di rivedere altrove. (Vi consigliamo, se siete interessati a scoprire le prossime rappresentazioni, di seguire gli aggiornamenti sul blog di Melania Petriello all’indirizzo www.almiopaese.it).

Lo spettacolo è scritto e diretto da Paolo Vanacore e vede la partecipazione di Sebastiano Nardone e Stefano Abbati. Nello spirito dell’omonimo libro, la trama, nella sua semplicità, racconta il bello e il brutto, le passioni e i pregiudizi, le culture e le tante storie che attraversano il nostro Paese. Un incontro casuale e forzato tra due uomini, l’uomo delle pulizie Giustino e il politico Bellassai, estrazione di due mondi completamente diversi. Il loro è un incontro-scontro tra il bene e il male, tra il corretto e il corrotto, tra il legale e l’illegale. È un incontro in cui i governanti e gli ultimi nella scala sociale si parlano in un territorio neutrale, a volto scoperto e senza filtri. È un incontro che fa riflettere sulle derive del nostro Paese. La domanda chiave, infatti, intorno alla quale ruotano lo spettacolo e il progetto che ha coinvolto le scuole è: “Al mio Paese, siamo tutti corrotti?”.

È proprio dalle parole di Elia Zoppi, vincitore del contest di cui sopra, infatti, che arriviamo al nocciolo del legame tra questo bellissimo progetto e il concetto di ritorno:
“Ma tu – ha detto Elia nel suo pezzo – credi davvero che il mondo sia allo sbando solo perché quel politico pensa ai propri interessi o perché quello straniero ti ha svaligiato la casa? Non credi che alla base di tutto ci sei proprio tu?”.

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Già, perché Al Mio Paese è un progetto culturale che apre il cuore e soprattutto la mente e nelle parole di Elia, in nuce, c’è tutto quello che voleva dire. Il progetto Al Mio Paese, in tutte le sue declinazioni, insegna che bisogna smettere di guardare nel piatto del vicino, ma bisogna ritornare a guardare a noi stessi e a investire, appunto, sullo sviluppo di personalità (e cittadinanze) consapevoli. Bisogna ritornare a parlare a – e con – i giovani, come quelli che, nel corso della giornata del 18 Marzo, durante il dibattito precedente lo spettacolo, hanno avuto modo di confrontarsi con giornalisti eccellenti della stampa italiana. Questi ragazzi delle scuole superiori laziali quel giorno erano all’Eliseo per assistere a una rappresentazione teatrale che denuncia i mali della nostra società. Soprattutto, però, i giovani erano lì per dimostrare che la corruzione si combatte anche attraverso il ritorno alla cultura.

Al mio Paese il 18 Marzo è stata, dunque, una giornata bellissima perché mi ha ricordato che la voglia di partecipazione sopravvive, nonostante tutto. Perché mi ha ricordato che la cultura è ancora un’arma e la pressione perché si ritorni a credere (e a investire, ça va sans dire) in lei non deve mai venire meno.

Al mio Paese il ritorno alla cultura è la chiave di (s)volta.

Gabriele Zagni

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