1 Douar, o l’anello mancante tra la discoteca e il fest-noz
Correva l’anno 1999 e mi ritrovai ad acquistare 1 Douar senza sapere cosa significasse.
Lo acquistai un po’ per caso: era l’unico cd di Alan Stivell (al secolo Alain Cochevelou) presente nel negozio. Era l’ultimo album uscito. Tutto perché avevo ascoltato per caso una sua canzone in una di quelle compilations low cost da due cd al prezzo di uno e me n’ero follemente innamorata. All’epoca internet non c’era (o meglio c’era, ma non in maniera così pervasiva) ed io non avevo modo di scoprire alcunché su quell’arpista che cantava in una lingua che non capivo e che, soprattutto, non riuscivo a riconoscere.
Quando scorsi i titoli delle canzoni la mia confusione aumentò: Stivell compone, suona e canta con i musicisti più diversi. Con Khaled, Youssou N’Dour, Jim Kerr (già membro dei Simple Minds), John Cale, Paddy Moloney (The Chieftains), Breda Mayock, Elisa Carrahar, Ashley Maher, mescolando senza soluzione di continuità inglese, francese, bretone, wolof e arabo, in un poetico carosello di temi musicali pescati di peso dalla tradizione bretone e riarrangiati in chiave elettrica e moderna.
Tradizione bretone e mondo, passato e presente. L’intera produzione musicale di Alan Stivell riesce non solo ad avvicinare, ma anche a unire quella che può sembrare una dicotomia, creando un’atmosfera sui generis e difficilmente classificabile come semplice “celtic fusion”.
1 Douar ne è forse l’esempio più immediato. Il titolo, infatti, significa indifferentemente “una sola terra” in bretone e “una sola città” in arabo e berbero. Una quanto mai significativa scelta linguistica che prepara al contenuto “universale” delle canzoni: i tre capitoli di A united Earth ne costituiscono il sottofondo ideale e i cardini su cui si innestano parole di speranza, come Hope, Ensemble (Understand), di joie de vivre e amore, come Ever e Una’s Love, ma anche di denuncia contro tutte le guerre, come Crimes.
Parole che si sentono da sempre, che richiamano una eloquenza spiccia da revival new age.
Non proprio.
Nei sessant’anni della sua carriera musicale Stivell ha dimostrato che “entre les deux enfers de l’uniformité et de la division, il y a une voie praticable”. 1 Douar costituisce la summa più riuscita delle suggestioni del passato, delle radici culturali bretoni e regionalistiche, con una aspirazione universalistica concreta e reale.
Composto nel 1998, 1 Douar è un vero saluto al nuovo millennio e alla sempre più concreta Unione Europea e, idealmente, mondiale: “Les frontières sont maintenant déjà fossiles, comme le sont leurs derniers gardiens. Mais, sans diversité, ce serait l’asphyxie”.
E tuttavia 1 Douar non è un unicum: si tratta forse del più esplicito grido (musicale) alla fratellanza dei popoli di tutta la carriera di Stivell, ma la vera svolta era avvenuta già negli anni Ottanta, con l’album Symphonie celtique. È il momento della contaminazione, musicale e linguistica: elementi rock e rap si innestano su temi folk e tradizionali, accompagnati da versi che, senza soluzione di continuità, cambiano lingua: “As far as I’m concerned, the music of the entire planet can be fused together. There are no limits!”
(A. Stivell)
Chiara Boem
Che collaborazioni. Non li conoscevo. Grazie.
E di che? Grazie a te per aver trovato il tempo di leggerci. 🙂