Vincent di Tim Burton
Il gusto di Vincent, il cortometraggio di un ventiquattrenne Tim Burton, certo non rientrava nelle corde della Disney dei primi anni ottanta! Eppure anticipò quel gusto per il cartone animato “macabro” che si sarebbe ricavato un suo spazio importante meno di quindici anni dopo. Già da questi primi tentativi, il giovane Burton mette in luce tutte le sue caratteristiche maggiori ed i suoi debiti ai maestri del passato.
Il giovane Vincent è convinto di essere Vincent Price (attore noto soprattutto per i suoi ruoli nei film horror degli anni ’50-60) ed è ossessionato dall’idea di creare, come il personaggio dei film horror, zombie, mostri, e di partecipare ad avventure oscure e dense di misteri. Il suo immaginario è ulteriormente sostenuto dalla passione per i racconti di Edgar Allan Poe. Il limite fra una proficua fantasia ed un delirio franco è labile e viene varcato fin da subito, nel cortometraggio.
Oltre all’omaggio a Price (che narra tutta la vicenda come voce fuori campo) ed al cinema horror con cui è cresciuto (da quello d’autore anni ’50, fino a Roger Corman), Burton ricorda nella messa in scena il grande periodo dell’espressionismo tedesco, con i tagli di luce obliqui, le ombre giganti e la scenografia “spigolosa”, ma anche quell’interesse per la psiche distorta tipico del primo Roman Polanski (si veda la scena di Repulsion con le mani che escono dalle pareti de corridoio). Oltre al passato, Vincent ci dice molto anche del gusto futuro del regista: le tematiche, in primis, ma anche la tecnica usata, lo stop motion, tecnica “antica” riportata in auge proprio dai capolavori d’animazione di Tim Burton.
È solo un cartone animato?