Il Britpop è vivo. E noi invece?
Il Britpop è tornato e si sta riprendendo le radio, le playlist e persino i guardaroba. Con l’autunno alle porte, le prime piogge e quel familiare senso di nostalgia che accompagna la fine dell’estate, il momento era perfetto per un revival. A dare la spinta decisiva ci hanno pensato gli Oasis, la band Britpop per eccellenza, che ha scatenato una frenetica corsa ai biglietti per la loro attesissima reunion, trasformando un qualunque sabato di fine agosto in un evento globale con code interminabili.
Il Britpop ha un’identità ben precisa: combina melodie orecchiabili e ritornelli potenti con testi carichi di ironia e consapevolezza sociale. Le canzoni raccontano la vita quotidiana delle strade di Manchester, Londra e Sheffield, con la stessa disinvoltura con cui le band salgono sul palco, vestite come se avessero afferrato i primi vestiti dall’armadio. È musica che parla direttamente alla gente, una ventata di freschezza nell’era dei fit check su TikTok e dei brani confezionati su misura per fare da sottofondo.
Fiorito all’inizio degli anni ’90 proprio sulle note degli Oasis, ma anche dei Blur, dei Pulp e dei Suede, il Britpop è il risultato di un mix di influenze culturali diverse. Da una parte c’è la Terrace Culture, una sottocultura giovanile nata tra gli anni ’70 e ’80 tra i tifosi di calcio che riempivano le gradinate degli stadi (le terraces). Dall’altra parte, il Britpop prende ispirazione dalla musica delle grandi icone degli anni ’60, come i Beatles e i Rolling Stones, in risposta al grunge americano incarnato dai Nirvana. Mentre il grunge è crudo, cupo e profondamente introspettivo, il Britpop offre una visione della vita decisamente più luminosa, non priva di una sua ruvida ironia. Con una certa arroganza, abbraccia e celebra l’identità britannica, mescolando orgoglio nazionale e un pizzico di distaccata spavalderia.
Nonostante il loro atteggiamento duro, le band Britpop cantano di temi universali come solitudine, speranza e il sogno di una vita migliore. Questo contrasto tra arroganza esteriore e la vulnerabilità dei testi ha creato una connessione emotiva con i fan che, anche dopo anni, rimane intatta. La loro capacità di parlare a chiunque si identifichi con la working class e sia orgoglioso delle proprie radici li ha resi iconici. Gli Oasis, in particolare, hanno rafforzato il loro fascino grazie al carisma ribelle dei fratelli Gallagher. La loro dinamica di amore-odio, alimentata da molte litigate in pubblico e una serie infinita di frecciatine, ha trasformato gli Oasis in qualcosa di più di una semplice band: sono diventati un fenomeno culturale.
Cosa definisce l’estetica Britpop? Semplice: non fare scelte estetiche. What you see is what you get: basta infilarsi un parka oversize come quello di Liam Gallagher, o una casacca da calcio retrò, come per andare allo stadio. Oppure una polo Fred Perry o la t-shirt di una band, abbinata a jeans sformati e a una giacca di pelle vissuta. E poi calcarsi in testa un bucket hat, o cappello alla pescatora, perfetto per proteggere il viso dalle gocce di pioggia. Vestendosi così, non si sta solo comodi ma si rivendicano anche le proprie radici working class.
Eppure, a riportare il Britpop alla ribalta nella moda contemporanea sono stati proprio il retail e la cultura pop. Marchi storici come Burberry e Fred Perry, già protagonisti della prima ondata, hanno riportato in auge il parka e le polo con uno styling più casual, e anche Adidas e Reebok stanno rilanciando sneakers e tute sportive retrò, popolari sia sulle passerelle che per le strade. Perfino Liam Gallagher ha contribuito a mantenere viva l’estetica Britpop lanciando il suo marchio di abbigliamento, Pretty Green, che praticamente propone tutto ciò che indosserebbe lui.
Il Britpop, però, ha fatto breccia anche tra le nuove generazioni di artisti britannici che, negli anni Novanta, erano ancora bambini, come Dua Lipa e Harry Styles. E nel frattempo, mentre aspettiamo il tanto atteso ritorno degli Oasis e il loro nuovo album, dobbiamo pur trovare un modo per ingannare il tempo! I pochi fortunati che sono riusciti ad accaparrarsi i biglietti, sborsando cifre che non avrebbero mai immaginato di spendere per un concerto, hanno contribuito all’impennata degli ascolti delle canzoni dei fratelli Gallagher su Spotify. Anche chi non è riuscito nell’impresa si è lanciato in un binge di nostalgia, sperando che vengano annunciate nuove date o, per lo meno, che Noel e Liam non litighino di nuovo prima del tour.
Silvia Cannas