La copertina del nuovo album dei Mumford & Sons
Judge an album by its cover
Il 4 maggio è stato rilasciato il nuovo album dei Mumford & Sons, l’attesissimo Wilder Mind.
Ma oggi non vogliamo parlarvi del disco. Oggi, cari fratelli e sorelle, vogliamo parlarvi della copertina. Che, sì, è un modo per parlarvi del disco.
Cosa vediamo? Una panchina in legno su una collina che dà sulla metropoli illuminata, di notte.
Se lo ascoltate, anche non attentamente, il disco è tutto qui. Sconfessando Frank-N-Furter che nel RHPS canta “don’t judge a book by its cover”. O forse no. Ché lui parlava di libri, in effetti, a non voler strumentalizzare.
Il disco è tutto qui, soprattutto se confrontiamo la nuova cover con quella del precedente album, Babel.
Babel: panca in legno con i quattro sopra, colori caldi, ambientazione e abbigliamento da countryside londinese, festa grande alle spalle, giorno.
Wilder Mind: panca in legno (la stessa), vuota, colori freddi, spazio verde e skyline della città, quiete, notte.
Il concept grafico segue l’evoluzione musicale. Wilder Mind rispetto al folk più tradizionale, in ciliegio, di Babel è un disco che si illumina, come il dorso della città, pur mantenendo la stessa anima (la panchina). Si passa dal folk acustico (pur sempre molto orecchiabile e vendibile) al folk-pop-elettroacustico, potenzialmente ancor più orecchiabile e vendibile. Si unisce la countryside alla metropoli, alla quale discograficamente si è puntato. Più che una virata, è stata operata un’espansione.
È una soluzione che viene evidentemente naturale a chi ha già ottenuto un discreto successo con un album folk. Con premesse e rese differenti, infatti, anche Bon Iver e Ben Howard con i loro rispettivi sophomore Bon Iver, Bon Iver e I Forget Where We Were¹ hanno scelto di rinnovarsi addobbando le loro chitarre acustiche con le luminarie: di natale, il primo; a led, il secondo.
Quello che distingue il tentativo dei Mumford & Sons da questi due precedenti (dico due, ma ce sono molti altri chiaramente) è la ricerca più propriamente commerciale del suono. Che non è un’offesa, per capirci.
Non sono di quelli che si sentono traditi dalla piega presa. Intanto perché non mi sono mai fidanzato con nessuno del gruppo, e poi perché la reputo una buona piega. Non si tratta di uno stravolgimento sonoro, ma di un proseguimento e di un’evoluzione interessante e valida.
Vale anche la pena dire, d’altro canto, che non è che si possa definire una scelta coraggiosa o chissàchealtro. Anzi, è un’operazione discograficamente intelligente. Hai visto che i ragazzi hanno stoffa e gli dici, ai ragazzi: “Ragazzi, sapete cosa? Bravi, molto bravi. Se adesso ci mettiamo e acchittiamo un paio di cose, non mi vendete un milione e rotti di dischi, ma almeno il doppio. Almeno, il doppio.” È un investimento, ma non così rischioso. I Mumford hanno dimostrato di potersela giocare. È un cambiamento, ma non così radicale, come qualcuno ha detto e scritto. Sticazzi il banjo. Si sente distintamente che la panchina è la stessa.
In estrema sintesi, dunque, pijateve sto parere: il nuovo disco dei Mumford & Sons è un eccellente disco pop, che si lascia ascoltare con piacere dall’inizio alla fine. Un ottimo lavoro, che suona bene, che piacerà a molti e che non va perseguitato per questo. Se un pop da classifica ci deve essere, meglio che sia gradevole e di buona qualità. Non mi sembra il caso di fare del puritanesimo sull’indie-folk. Innanzitutto per ragioni di etimologia, ché pop e folk vanno a parare sullo stesso concetto alla fine. E poi perché devo trovare ancora qualcuno in grado di spiegarmi come cazzo suona un album indie-folk.
Più che Wilder Mind, l’album doveva chiamarsi Wiser Mind. Fidatevi, son mica scemi sti quattro.
[1] Non vi parlo bene di Bon Iver perché voi mezzecalzette hipsterorsi già lo idolatrate (se lo fate con la giusta dignità, fate bene); vi parlo bene invece del disco di Ben Howard, tra i più belli in assoluto del 2014 e che nessuno ha minimamente considerato. È come se passa una figa e state tutti girati a guardare lo scimpanzè che si fuma le sigarette. Per carità, merita anche, però un’occhiata almeno, alla figa, gliela devi dare. Vi consiglio un ascolto. Solo perché non posso obbligarvi.
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