Nier Automata | E tu perché giochi?
Cosa è arte?
Annosa questione, che infiamma da secoli il dibattito dell’essere umano, dai circoli culturali del passato fino alle più sviluppate piattaforme multimediali, tipo Facebook o la buon’anima di Netlog.
Se andiamo a riprendere un’autorevole fonte a riguardo, l’arte “nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza. Pertanto l’arte è un linguaggio, ossia la capacità di trasmettere emozioni e messaggi” (cit. Wikipedia).
Scherzi a parte, la domanda non sempre ha risposta semplice, soprattutto se si parla di mezzi di comunicazione e, volgarmente, di intrattenimento che, ancora oggi a distanza di qualche decennio, non riescono fino in fondo a scrollarsi di dosso quell’etichetta di “passatempo per bambini”, che ormai da molto tempo è decisamente discutibile nella sua accezione aprioristica.
Nier Automata entra a gamba tesa in questo dibattito e prova a dire la sua a riguardo.
Per chi, come me, ha abbandonato il mondo delle console con la Play Station 2 per dedicarsi esclusivamente al PC, il nome di Yoko Taro risulterà per lo più sconosciuto. Attivo marginalmente già nel mitico Time Crisis II, diventa protagonista proprio sulla Play Station 2 con la serie action-RPG Drakengard, contraddistinguendosi per le sue atmosfere cupe e riflessive, disturbanti, con un approccio narrativo spesso intenso e molto legato all’immedesimazione del giocatore. Pubblicato nel 2017, Nier Automata nasce come seguito di Nier Gestalt, a sua volta spin-off della già citata serie Drakengard.
Di che genere di gioco parliamo? Anche qui, la risposta non è univoca. Sicuramente anche Automata è principalmente un action-RPG in piena tradizione Platinum Games (la casa di sviluppo, già autrice del celebre Bayonetta), ma risultano altrettanto sostanziali anche fasi tipo shoot ‘em up a scorrimento orizzontale o verticale e le sessioni in stile dual stick shooter anni ‘80, il tutto in un contesto open world – relativamente limitato, in realtà – con tanta roba da leggere in giro.
Ci sono dunque scontri caotici (anche troppo) tra combo e power up si alternano a momenti di esplorazione, commercio e gestione del personaggio in stile GDR. Questo, soprattutto per quanto riguarda la prima parte del gioco, che in quanto a meccaniche è forse la meno intrigante.
Esplorare l’area di gioco, in verità non così grande, è affascinante ma lascia un po’ perplessi, dato che si passa da ambientazioni peculiari ma che potevano forse essere sfruttate meglio, come il Luna Park, a deserti e rovine cittadine meno di impatto, vuoi anche per i limiti tecnici. Le missioni secondarie non si rivelano eccessive né in numero né in quanto a ripetitività, problema che affligge spesso questo genere di giochi. Andando avanti col gioco, subentrano maggiormente i già citati mini-giochi in stile cabinato anni 80\90, in verità un piacevole diversivo che assume poi un contesto molto interessante nello sviluppo della trama e che si rivelano un buon contraltare al combattimento puro.
Da un punto di vista tecnico il livello è ben lontano dall’essere eccelso. Parliamo di un gioco con qualche anno sulle spalle, il cui motore grafico riesce a creare ambienti evocativi e a fare il suo dovere, ma con un livello di dettaglio che probabilmente era basso già nel 2017, sia per quanto riguarda gli ambienti che per quanto riguarda i personaggi. In generale l’impatto rimane buono, anche perché alcune ambientazioni sono volutamente scarne e il problema si pone meno, ma rimane l’amaro in bocca per ciò che sarebbe potuto essere con un po’ di lavoro in più. Altro lato negativo riguarda le animazioni, talvolta imprecise e legnose che, soprattutto nei momenti più caotici dei combattimenti può rappresentare un problema.
Le musiche invece sono semplicemente meravigliose. A tratti bambinesche, delicate e sognanti, quasi in contrasto con i momenti più concitati, le tracce di Keiichi Okabe sono semplicemente perfette nel sottolineare un clima quasi fiabesco e ti si ficcano in testa, una delle OST più belle che abbia sentito negli ultimi anni (e che riascolto spesso e volentieri anche dopo aver terminato il gioco N.d.A.). Anche il doppiaggio inglese, buono, aiuta a caratterizzare bene i personaggi e ad immergere nelle vicende narrate, per cui risulta decisamente un punto a favore.
Ma quindi dove troviamo “arte” in Nier Automata?
Già dalle prime battute si può intuire la piega che prenderà questo gioco: impersoniamo 2B, androide umanoide a bordo del suo mech che si prepara a raggiungere il campo di battaglia dove si combatte per l’ennesima volta contro le biomacchine e, nel mentre, maledice la divinità che ha causato tutto ciò.
Facciamo un passo indietro: ci troviamo in un futuro imprecisato, in cui la terra è dilaniata da secoli di guerre tra esseri umani ed una razza ignota di alieni invasori. Ormai il pianeta è ridotto ad un cumulo di macerie in cui piante e animali hanno ritrovato il loro spazio. La guerra va avanti da così tanto tempo, che i pochi umani rimasti si sono stancati di combatterla e hanno preferito rifugiarsi sulla luna, inviando al loro posto androidi umanoidi come 2B a fare il lavoro sporco.
Dal canto loro, gli alieni sono nascosti da qualche parte e hanno abbandonato sulla Terra le biomacchine, robot dall’aspetto buffo ma dal potenziale distruttivo che rappresentano la nemesi degli androidi. Caratteristica peculiare e fondamentale nello sviluppo dei fatti riguarda il fatto che le biomacchine siano in qualche modo collegate tra loro da una sorta di network, ma non mi dilungo oltre per evitare spoiler.
2B, dicevamo, arriva sul campo di battaglia e, dopo un quarto d’ora tutt’altro che semplice, viene raggiunto dall’androide ricognitore 9S per affrontare una enorme biomacchina di nome Engels.
Che nome peculiare.
In questo modo comincia un’avventura che, a dirla tutta, non ha molto senso. Non è chiaro perché i due androidi lottino e dove il gioco voglia andare a parare. Combattiamo, esploriamo, compiamo missioni secondarie, ma perché?
Sappiamo che gli androidi e gli umani sono i buoni, mentre alieni e biomacchine sono i cattivi ma, nel corso degli eventi, anche questa convinzione vacilla. In una guerra eterna e ormai senza senso, le biomacchine stanno evolvendo, acquisendo caratteristiche proprie della razza umana che, paradossalmente, agli androidi mancano.
Amore, accudimento, rabbia, risentimento. Contro chi stiamo combattendo?
L’apoteosi della confusione arriva con la comparsa di Adam e Eve, next step evolutivo delle biomacchine, che acquistano un aspetto ed un comportamento del tutto umano e diventano l’obiettivo da combattere. Per non parlare delle rivelazioni in corso d’opera su umani e alieni.
Parallelamente, è curioso vedere come certe biomacchine presentino nomi di filosofi famosi: dallo stesso Engels, già citato, passando per Simone, Immanuel, Pascal e Kierkegaard.
È interessante vedere come queste biomacchine ricalchino l’atteggiamento proprio del pensiero dei loro omonimi, in particolare ho trovato terribilmente affascinante ed inquietante la figura di Kierkegaard e del suo “salto nella fede” (per chi volesse approfondire, ci sono vari video sui “filosofi” di Nier Automata su Youtube, ma attenzione agli spoiler N.d.A.). È ancora più chiara, dunque, l’impronta riflessiva voluta da Taro, che si permette di giocare con la filosofia occidentale o orientale per raccontare l’evoluzione dei suoi personaggi.
L’avventura prosegue quindi tra colpi di scena narrativi e maturazione inaspettata di più personaggi, che dovranno compiere scelte estremamente difficili e dal grande peso emotivo, fino all’atto finale, in cui sarà il giocatore stesso a compiere la sua scelta e a decidere perché abbia giocato.
L’arte di Nier Automata è tutta qui: è un viaggio straniante e a tratti disturbante, in cui si scopre il senso del giocarci strada facendo.
È un gioco che urla ai quattro venti la sua imperfezione, ma crea un mondo desolante e vuoto eppure terribilmente additivo, tanto che superate le prime ore di gioco risulta davvero difficile mollare il joypad.
Nier Automata osa, è un gioco che vuole essere tale ma anche andare oltre sé stesso. Non è sicuramente il primo videogioco di tale spessore da essere definito arte, ma è sicuramente uno degli esempi più peculiari che mi siano capitati tra le mani.
E noi non possiamo che essere contenti di avere un medium con tanto potenziale artistico a disposizione, probabilmente in buona parte ancora da esprimere.