The Present, la vita quotidiana nelle enclavi palestinesi con Farah Nabulsi

The Present, la vita quotidiana nelle enclavi palestinesi con Farah Nabulsi

È impossibile che un’opera d’arte racchiuda tutta la realtà. È difficile che una singola opera possa narrare le cause e gli effetti, i protagonisti in gioco, le loro vite singole e i loro intrecci all’interno della Storia più grande, quella con la S maiuscola che si legge sui libri. L’obiettivo dell’arte è raccontare una parte della realtà e proprio questo prova a fare la regista palestinese Farah Nabulsi con il suo cortometraggio The Present, visibile su Netflix e candidato all’Oscar.

Il film si apre su una moltitudine di uomini, vocianti, schiacciati fra di loro, alcuni addirittura scalando le grate, che attraversano uno dei tanti Checkpoint (quello mostrato è Checkpoint 300, fra Betlemme e Betania) imposti dal governo israeliano alle enclavi palestinesi. Lo attraversano tutte le mattine, per andare al lavoro, alcuni mettendosi in fila da metà nottata. Queste prime immagini non sono finzione, ma realizzate senza autorizzazione come guerrilla filming, per ammissione della stessa regista. Poco dopo, la scena cambia e ci troviamo di fronte al protagonista, Yusef (Saleh Bakri) a casa sua, nella sua zona di confort. Ma i suoi occhi non sono mai tranquilli, perennemente in movimento e allerta.

Anche per questo, ci troviamo subito a empatizzare col protagonista e le sue lotte quotidiane. Nel suo giorno di riposo, infatti, vuole andare a Betania a comprare un nuovo frigorifero per la moglie, come regalo di anniversario. Quello che può sembrare, per noi, un compito piuttosto facile (prendo la macchina, vado da Euronics o simili, torno col frigorifero nuovo), non lo è per chi vive nelle enclavi ed è costretto a passare avanti e indietro dai checkpoint, sottostando alla ottusa regolamentazione militare.

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In poco più di 20 minuti, la regista ci porta in uno squarcio di realtà, in una piccola storia, che compone quella Storia che leggiamo nei libri e ci sembra molto distante. Non discute le ragioni, non racconta la storia e come si è giunti al momento presente. Non c’è politica nella sua narrazione. C’è la vita di tutti i giorni e i soprusi quotiadini, quelli che non hanno bisogno di violenza fisica, di razzi o di missili, per fare male ed umiliare.

Yusef è accompagnato da sua figlia, Yasmine (la piccola Maryam Kanj), spettatrice di quello che il padre è costretto a subire per poter portare a termine un compito all’apparenza molto semplice. La presenza della bambina non fa che ampliare il senso di umiliazione che il padre prova. The Present non spiega le cause, non dà riferimenti geopolitici: la bambina, come noi, forse è piena di domande, ma queste domande non escono mai dalla sua bocca. Non chiede mai “perché”, forse per l’abitudine ormai fatta a questo tipo di vita.




La storia narrata da Farah Nabulsi, a tratti assurda, a tratti tenera, sempre estremamente umana, è carica di rabbia. Una rabbia che traspare nei muscoli tesi della schiena di Yusef, nei suoi occhi di animale in gabbia. La narrazione della regista, tuttavia, è prevalentemente volta all’empatia nei confronti dei protagonisti e anche quando la rabbia potrebbe esplodere, non viene mai concretizzata.

The Present è un film primariamente umano e secondariamente di denuncia. La riduzione dei dialoghi allo stretto necessario, con aspetti prevalentemente funzionali, aiuta ad immedesimarsi nella piccola vicenda di Yusef. E ci ricorda che un conflitto politico porta sempre dei risvolti nella vita di tutti i giorni: la Storia non esiste senza le piccole storie.

Per passare il checkpoint, Yusef si toglie, intimato dai militari israeliani, l’orologio che per lui è un cimelio di famiglia. Come per il protagonista, il tempo in questa terra sembra essersi fermato, cristallizzato in un conflitto che forse non capiamo, ma che non deve trovarci indifferenti.

 

Titolo | The Present
Regia | Farah Nabulsi
Uscita | 2020

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