7 buoni motivi per leggere Banana Yoshimoto
“Nel flusso indefinito del tempo e degli stati d’animo, gran parte della storia è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così all’improvviso, in un caffè d’inverno”.
Mi hanno sempre incuriosito i libri di Banana Yoshimoto. Quando andavo in libreria e passavo vicino alla “Y” vedevo tutti questi libretti in fila, con dei titoli lapidari, scritti da questo misterioso autore dal nome buffo. Poi, un giorno, ne ho preso in mano uno, ho cominciato a leggerlo… e non ho più smesso.
Ci sono almeno 7 buoni motivi per leggere Banana Yoshimoto:
-
- Si chiama Banana. Dai, quanto deve essere giusta una per scegliersi un nome d’arte del genere? Giorgio Amitrano, traduttore delle sue opere, spiega così la scelta dello pseudonimo: “Dice di averlo scelto solo perché attratta dalla bellezza dei fiori rossi del bijinshō detto anche red banana flower. È una risposta in perfetto stile giapponese che rievoca l’impegno di Bashō [si, uno di quelli che vengono sempre citati su tumblr, ndr.], il grande poeta del diciassettesimo secolo, che prese il nome dall’albero del banano. La scelta di questo nome contiene lo spirito irriverente dello shōjo manga e l’omaggio alla grande tradizione giapponese.”
- I suoi libri creano dipendenza. I libri di Banana Yoshimoto non ti cambiano la vita, non sono imperdibili, ma hanno il gusto della tranquillità, del motivo che si ripete. C’è sempre un libro di Banana Yoshimoto che non hai ancora letto, e sai che in quel racconto ci sarà sempre quella atmosfera che hai imparato a conoscere, quei personaggi così effimeri, quei paesaggi lunari, quel tono sottovoce che racconta una storia sopra le righe. Leggere Banana Yoshimoto è lasciare l’incerto per il certo, è sapere già cosa ci aspetta. Per questo, a volte, sentiamo il bisogno di leggerla.
- Ha scritto una valanga di libri. A differenza di scrittori che hanno fatto un po’ i preziosi, con Banana possiamo contare su una vasta produzione: parliamo di circa 25 tra romanzi e raccolte di racconti. E sto considerando solo quelli tradotti in italiano! Se avete dimestichezza con il giapponese, o anche solo con l’inglese (forse più probabile), avrete molte altre opere a disposizione. Questa è un’ottima cosa, visto il punto 2.
- Ha scritto solo libri molto brevi. Qui ci sono due facce della medaglia: nel caso li si ami, si avranno praticamente infiniti piccoli piaceri a disposizione. Nel caso li si odi, il supplizio sarà breve (perché almeno una chance, comunque, dovete dargliela).
- Ci impone di uscire dalla nostra comfort zone. La scrittura giapponese rimarrà sempre un mistero per me. È l’espressione di una sensibilità troppo lontana dalla nostra, non ho mai letto nulla che si discostasse così tanto dal mio mondo. Richiede uno sforzo di immaginazione ed immedesimazione davvero importante. Altro che fantasy… Perfino uno hobbit mi sembrerebbe più plausibile di un personaggio di Banana Yoshimoto. In questo senso, questi sono davvero libri che ti aprono la mente.
- Anche i temi che affronta non sono dei più “comodi”. Si parla sempre di morte, solitudine, malattia, morte, solitudine… Il tutto velato da un candido pudore nipponico, con un tocco di buddhismo qua e là.
- I post scriptum sono meravigliosi. Alla fine di ogni libro Banana ringrazia i suoi lettori, con uno stile così stereotipicamente giapponese che ci sembra di vederla seduta sul suo futon a bere tè e a scrivere raffinati caratteri su carta di riso. Il mio post scriptum preferito è tratto dal romanzo N.P.: “E infine a tutte le persone che ho incontrato nel corso di questo anno e mezzo, a quelli che mi hanno scritto lettere di incoraggiamento, e soprattutto a tutti coloro che hanno avuto la bontà di leggere questo libro, grazie di cuore. In un sereno pomeriggio di novembre, col raffreddore, mangiando un kaki.”
Descriverei lo stile di Banana Yoshimoto con le stesse parole con cui la scrittrice descrive Makoto, uno dei personaggi di Ricordi di un vicolo cieco: “Dolce e soave come i boccioli dei ciliegi che si schiudono”.