La notte si avvicina di Loredana Lipperini | Il contagio, le streghe e il male dentro di noi
È singolare il fatto che la parola “nenia” condivida due significati così lontani come la ninnananna e la cantilena funebre che, in epoca romana, veniva cantata seguendo il feretro.
La notte si avvicina è il titolo del romanzo di Loredana Lipperini, che prende ispirazione dalla canzone della buonanotte che ricordiamo tutti: “stella stellina, la notte si avvicina…”, ma leggendolo si ha l’impressione di venir cullati non da una ninnananna, bensì da una nenia che è tanto canzone per bambini quanto lamento lugubre. La storia è un dondolio tra una realtà quotidiana, in cui il tema della maternità è centrale, e una realtà nascosta, magica e inquietante, solcata dalla presenza costante della morte.
“Non eravamo mostri. Non esistono i mostri. Ma forse era il paese a essere, a suo modo, mostruoso.”
Nel piccolo paese tra gli Appennini del centro Italia chiamato Vallescura scoppia un’epidemia di peste. Il borgo viene chiuso con transenne e militari, un lockdown come i primi che abbiamo visto a marzo 2020, mentre il contagio falcia le vite dei cittadini inermi. Gli abitanti ancora sani cercano però il colpevole, il paziente zero, e si sospetta dell’estraneo, del diverso, ma forse la verità è antica, oscura, radicata in un passato pagano, ctonio, che pulsa nel sostrato del nostro Paese.
Il fatto che il tema centrale del romanzo sia un’epidemia non deve farci pensare che la Lipperini volesse raccontare il problema principale che affligge la nostra attualità, sia per la data della stesura del romanzo sia per le sue caratteristiche, che della non-fiction hanno ben poco. La notte si avvicina è stato iniziato nel 2008 ed è stato pubblicato nell’ottobre del 2020: l’Italia provinciale che emerge dalle pagine non è quella del Covid, è invece l’Italia sull’orlo della crisi economica, del terremoto, dell’intensificarsi dei flussi migratori dal Mediterraneo. E questa atmosfera da fine anni zero è visibile in dettagli che l’autrice nasconde sapientemente, come a volercelo ricordare con piccoli campanelli d’allarme: nella musica in radio, nei programmi tv, nel vestiario talvolta. Differenze minuscole rispetto al mondo di oggi, ma utili a ricordarci che stiamo leggendo una storia inserita in quel momento (ormai storico) ben preciso.
Fatte le dovute precisazioni riguardo il periodo di stesura del romanzo, occorre fare un secondo disclaimer, secondo me più importante: relegare La notte si avvicina a un romanzo “su un’epidemia”, che può aiutarci a comprendere meglio i nostri tempi, sarebbe limitante e sbagliato. Loredana Lipperini ha scritto un romanzo sul male, sulla sua banalità e sull’incapacità di comprendere davvero le sofferenze che il male imprime sul mondo.
“Ci sono luoghi che fanno da specchio, e quando lo vediamo non ci facciamo indietro inorriditi ma pensiamo che a questo punto tanto vale commetterlo, il male.”
Innanzitutto, una differenza fondamentale tra il mondo descritto nel romanzo e il nostro è che Vallescura è l’unico comune a essere colpito dalla pestilenza, a venir sigillato e a essere lasciato al suo destino. Visti gli anni in cui è stato iniziato, è più probabile che l’autrice non pensasse alla prima ondata di Covid, ma volesse ricreare l’atmosfera claustrofobica di The Dome di Stephen King del 2009, un autore amatissimo dall’autrice, che ha lasciato il segno anche in altre parti del romanzo.
L’ombra della nostra pandemia è ben diversa da quella proiettata dalla peste di Vallescura, che invece corre libera entro i limiti di un solo piccolo borgo, mentre i cittadini sconcertati si chiedono come possono essere stati dimenticati, si stupiscono del fatto che i media non menzionino la loro situazione, che nessuno li curi. Sono quei cittadini che sono stati dimenticati dopo il terremoto, e la paura, lo sconcerto, lo sconforto, sono gli stessi. I media quindi più che bombardare tacciono, e l’ansia scaturisce dal loro silenzio. Ma gli appestati di Vallescura sono le stesse persone che l’autrice ci descrive, prima dell’epidemia, in piccoli quadri quotidiani in cui attendono la fine del telegiornale -elenco di tragedie da tutto il mondo, da omicidi a naufragi di migranti, comunque sempre sciagure che sembrano lontanissime- per iniziare finalmente a sghignazzare davanti a Striscia la Notizia.
Queste brevi cornici di vita privata che l’autrice semina per il romanzo sono una delle chiavi per comprendere quel pezzo di popolazione che è il vero protagonista della storia: è l’Italia campagnola che riconosce come straniero, colpevole, invasore, chiunque osi entrare nei confini del loro paesino, è l’Italia tradizionalista, statuaria ma anche goliardica, plasmata dagli anni del berlusconismo e da quella televisione anni 2000. È la realtà della provincia profonda dai contorni un po’ sfumati ma che abbiamo tutti in mente, volenti o nolenti: conservatrice e patriarcale, che si scontra con quella parte di nazione prodotta dal progresso socio-culturale, più europea che italiota.
“Il flagello degli dei che cade proprio qui, in questo paese che non è peggiore o migliore di altri, ma semmai somiglia a tutti gli altri.”
Un’italietta che negli ultimi due anni di uscite editoriali abbiamo visto declinata in modo simile ne I passi nel bosco di Sandro Campani e ne La nuova stagione di Silvia Ballestra. Anche lì troviamo piccoli paesi attraversati da rivalità pluridecennali, leggende locali che dalla cronaca sfociano in favole nere, pettegolezzi scellerati e paura del diverso, dei forestieri, di tutto ciò che potrebbe rompere l’equilibrio secolare del paese. Proprio con il romanzo della Ballestra troviamo una stretta parentela: atmosfere sibilline, letteralmente, protagoniste femminili che si sostengono a vicenda, scontrandosi con un paese ignorante che le guarda come fossero streghe.
Vallescura è infatti un borgo sospeso nel tempo, avvolto in un’aura buzzatiana in cui il reale ha un rapporto osmotico con il sovrannaturale, dove “strega” non è solo un insulto, ma una precisa condanna, dove la “peste” non è solo un virus, ma anche una forza primordiale che cresce con le paure dell’uomo fin da tempi ancestrali, un germe che è sempre stato con noi.
A combattere per la rottura e il mantenimento dell’equilibrio di Vallescura sono le protagoniste, le streghe e le inquisitrici: Maria, Saretta, Chiara e in minor misura Aurelia e Carmen.
Maria, rossa malpelo della vicenda, è la straniera che si rifugia a Vallescura prima del contagio per cercare un po’ di pace, dopo che le sono stati sottratti i figli dagli assistenti sociali. Un fatto avvenuto per colpa di alcune mamme del gruppo di classe a cui il modo di comportarsi e vestirsi di Maria non andava a genio: artistoide, un po’ sciatta, stravagante. A Vallescura trova la stessa ostilità, non viene mai salutata, viene trattata come una strega o, ironicamente, come un’appestata: come la Tessie Hutchinson de La Lotteria di Shirley Jackson deve essere punita per la sua mancata aderenza alla norma comune, ma la peste le dà un’occasione per vendicarsi e dare un senso alla sua vita devastata.
Colei che muove la masnada del paese contro Maria è Saretta, emblema delle donne che odiano le donne, figura matronale, sgraziata e scostante, conserva un soprannome da bambina che poco si addice al suo fisico imponente, come a volerne sottolineare l’assoluta mancanza di sensualità. Lei si è arrogata il compito di mantenere gli equilibri, anche a costo di farsi veicolo del male, di diventare a sua volta strega pur di salvare il paese.
Chiara è una figura di mezzo, opposta a Saretta ma incapace di arginarne lo strapotere. È una scrittrice, l’intellettuale che ha scelto l’afasia e una vita nascosta perché non riesce più a dialogare con la massa degli abitanti. Si accorge dei dolori, delle sciagure del mondo, ma si cruccia perché non riesce a far nulla a riguardo, non riesce nemmeno a soffrirne quanto vorrebbe e vive con un sottile e quasi impercettibile senso di colpa continuo. Chiara è una donna in cerca di redenzione, non per se stessa, ma per tutti.
Aurelia è la ex-suocera di Chiara, una paesana in cui convergono tutte le caratteristiche di quelle nonnine, di quelle anziane gentili incapaci di provare la rabbia di Saretta, custodi del vero spirito del paese, di quella pace al sicuro dal marasma del mondo e dai suoi mali. Carmen infine è la giovane ribelle, quella che Saretta vuole rimettere in riga non appena saranno risolti i problemi con Maria. In lei alcuni vedono un possibile germoglio di speranza futura, di rinascita dopo la devastazione della peste.
La lettura ci porta a incontrare queste donne in momenti diversi della loro vita: prima, durante e dopo il contagio. Le vediamo prepararsi al male quando già la peste getta la sua ombra, le vediamo provare a reagire e sopportare il dolore, venendo sbalzati avanti e indietro nel tempo grazie a un montaggio a incastro e a un intreccio che non segue l’ordine degli eventi. I capitoli infatti sono nominati con la distanza che separa il giorno raccontato dal giorno zero del contagio. Nei capitoli ambientati prima dello scoppio dell’epidemia possiamo sapere esattamente quanto manca alla tragedia, ed è un elemento fondamentale siccome i personaggi sono continuamente investiti da premonizioni, sogni, sguardi che aprono a quel sottosuolo sovrannaturale che serpeggia tra le pieghe del reale, influenzandone le vicende e le persone.
In questi frangenti il romanzo mostra il suo nucleo prevalentemente gotico, in sintonia con altre opere di Loredana Lipperini come Magia Nera e L’arrivo di Saturno, sempre edite da Bompiani. Un gotico che non si palesa mai nello squarciamento del reale, è invece velato e parte stessa del quotidiano, come quello di una parte della produzione dell’americano Thomas Ligotti, maestro contemporaneo del genere: si annida in piccole cose, coincidenze, sensazioni, simboli, come il ritratto di un bambino, la Sybilla Palmifera di Dante Gabriel Rossetti, i versi cantilenanti di una ninnananna, la leggenda di una vecchia strega.
Le protagoniste sono in balìa di questo vento fantasma e delle vicende che scaturiscono da queste pressioni invisibili. Si avvicinano e si sfiorano senza mai riuscire a far fronte comune contro il male endemico del paese, come se fossero marionette in mano a forze antiche che non riescono a comprendere del tutto. Anche con l’arrivo della grande livellatrice, la peste, i personaggi e tutti gli abitanti non si sostengono, anzi si temono l’un l’altro, cercano il colpevole e si affrettano a vendicarsi prima che la peste glielo impedisca.
Qui la Lipperini è riuscita involontariamente a descrivere l’Italia del Covid in un modo che può farci riflettere. Racconta la nostra ricerca spasmodica di un motivo, un peccato primigenio, la nostra voglia di puntare il dito, di scovare “gli altri”, gli untori, di provare a scappare da qualche parte, di vivere anche a costo di infettare, di convivere con la morte in una lunga danza macabra. Come nel medioevo, così anche nel terzo millennio, come scrive Loredana Lipperini nei “Ringraziamenti”:
“perché la peste fa parte della nostra storia e, per quanto cambi il mondo, difficilmente mutano le nostre reazioni.”
Gli esseri umani, a quanto pare, ancora non riescono a opporsi al naturale espandersi del male. Questo romanzo ci insegna che, al passare delle tempeste, si può provare a ricominciare ricordando quello che è stato, e provare a essere un po’ migliori di chi ci ha preceduti.
Titolo | La notte si avvicina
Autrice | Loredana Lipperini
Casa editrice | Bompiani
Anno | 2020