Nadia e il mistero della pietra azzurra | Di nuovo in fondo all’oceano
Un tempo la sveglia era alle 7, con il jingle musicale del segnale orario di Canale 5, quando lottavi per ottenere il telecomando e rubare qualche minuto di cartoni animati invece di doverti sorbire le noiosissime notizie prima di una ennesima noiosissima giornata di scuola.
Dalla marea di serie animate affondate nell’oceano della nostalgia, è sempre riuscito ad emergere quel piccolo capolavoro (o, almeno, io ce l’avevo impresso in testa come tale) che risponde al nome di Nadia e il mistero della pietra azzurra.
In realtà, come spesso accadeva all’epoca, non ero mai riuscito a seguire tutte le puntate di fila, ma l’ho visto a più riprese nel corso degli anni dell’infanzia, continuando a subirne il fascino senza che l’avvento dello streaming mi abbia portato a rischiare di distruggere questo bel ricordo, rivedendomelo daccapo come si deve e con un occhio adulto. Fino a quando Amazon Prime Video non me l’ha messa a disposizione dall’oggi al domani, in modo così invitante da farmi cadere in tentazione.
E allora nulla da fare, è stata full immersion.
Come sono invecchiati Nadia e soci? Molto bene, oserei dire.
Per chi non conoscesse la serie o per chi facesse finta di averla rimossa, ci troviamo alla fine del’800, all’esposizione universale di Parigi. Jean è un giovane inventore prodigio, impegnato con lo zio ad ultimare il suo prototipo di macchina volante da presentare alla gara dell’esposizione, mentre si imbatte casualmente in Nadia, acrobata del circo di città e orfanella dal passato avvolto nel mistero.
Il colpo di fulmine è, manco a dirlo, immediato, per cui il nostro si ritrova a soccorrere la sua bella quando viene inseguita dall’avvenente Grandis e dai suoi scagnozzi, che fanno di tutto per rubare la pietra azzurra, il gioiello che Nadia porta al collo da quando ha memoria, unico ricordo di sua madre. Infatti nulla si sa delle origini della pietra e, come dicevamo, della nostra protagonista, che si rivelano essere collegate all’antica civiltà di Atlantide e ad un destino per nulla banale.
Roba che forse la vita al circo non era manco così male.
Nel corso delle loro avventure, Jean e Nadia si ritrovano nel bel mezzo di lotte nelle profondità marine tra l’avveniristico sottomarino Nautilus del capitano Nemo e le flotte di navi di una misteriosa setta di uomini mascherati, i neo-atlantidi appunto, anche loro, pensa un po’, desiderosi di mettere le mani sulla pietra azzurra.
La storia prende pieghe inaspettate, che portano dalle oscurità oceaniche allo spazio profondo, con una serie di colpi di scena più o meno sorprendenti, ma senza dubbio azzeccati, che non rivelerò per evitare di evocare il demone dello spoiler™.
Il concept originale è del buon vecchio Hayao Miyazaki, ma a prendere le redini del progetto nel 1990 è stato poi Hideaki Anno, successivamente creatore di quell’altra perla che risponde al nome di Neon Genesis – Evangelion, accompagnato dal character developer Yoshiyuki Sadamoto.
Lo stile di Miyazaki, vicino a quello di altri suoi lavori come Conan – ragazzo dal futuro (altra serie da rivedere quanto prima), e quello di Anno, si mischiano bene, andando a pescare dai romanzi di Jules Verne, ispirazione dichiarata, e prendendo in prestito certi stilemi dell’universo steampunk, genere letterario decisamente in voga alla fine degli anni ottanta. A questo, aggiungiamo qualche riferimento biblico e una grossa dose di mitologia di Atlantide per ottenere la ricca portata finale.
Il mix è peculiare, ma i vari elementi sono ben maneggiati e riadattati al contesto in modo da risultare funzionali e non troppo forzati.
Anche per quanto riguarda il cast, l’opera strizza l’occhio ad altre serie animate nipponiche: da un lato Grandis e soci sono una versione riveduta e corretta del trio Drombo di Yattaman, dall’altro è impossibile non pensare almeno esteticamente a Nemo come ad una sorta di Capitan Harlock invecchiato, soprattutto vista la deriva presa dalle vicende negli ultimissimi episodi.
La caratterizzazione dei personaggi non risente di queste ispirazioni, anzi funziona ed è un grosso punto a favore dell’opera.
Jean e Nadia sono agli antipodi da un punto di vista caratteriale: ottimista, allegro e fiducioso nella bontà della scienza e del genere umano lui, pessimista, legata alla natura, rigida e diffidente lei. La loro evoluzione nel corso degli episodi, però, li rende più umani e vicini agli spettatori, dando anche un minimo tono di cartone animato di formazione, visto che gli spigoli “infantili” di entrambi i personaggi entrano spesso in contrasto marcato con il mondo dell’adulto, con incomprensioni e litigi che oggi farebbero un po’ sorridere. Ma l’inevitabile crescita li renderà persone nuove ed in grado di incontrarsi umanamente, fino all’inevitabile e fiabesco idillio amoroso.
Altrettanto interessante è, dall’altro lato, Gargoyle, vero antagonista della serie e capo dei neo-atlantidi, la cui immagine in abito rosso, cappuccio e maschera assieme ad una perfidia profonda e disumana lo rendono, anche grazie allo spiccato simbolismo della sua setta, un nemico atipico ma decisamente iconico.
Una cosa che salta all’occhio più di quanto non potesse farlo 20 anni fa quando, alla mia prima visione (sic.), è la presenza di elementi narrativi decisamente adulti, soprattutto se consideriamo il target al quale la serie era rivolta all’epoca.
È anche vero che la versione oggi disponibile è ripulita dalla censura italiana di quel periodo, ma in ogni caso alcune tematiche, in primis la morte anche di personaggi narrativamente pesanti, oggi risaltano in modo significativo. Gli autori non hanno avuto neanche timore di affrontare temi come la violenza sugli animali che Nadia, vegetariana convinta, ha decisamente a cuore, l’utilizzo potenzialmente dannoso della scienza o i ruoli di genere, pur con qualche dialogo che oggi farebbe alzare il sopracciglio a più di qualcuno.
In mezzo ci sono anche gag tipiche della comicità delle serie animate nipponiche del periodo, in grado di smorzare bene i momenti di tensione, strappando qualche sorriso e facendo anche affezionare maggiormente lo spettatore ai personaggi.
Insomma, carne al fuoco non manca e la narrazione risulta interessante con i suoi colpi di scena, pur con poche puntate di basso livello, come quelle sulle avventure dei nostri su un’isola deserta – il famigerato “ciclo dell’isola”. Va detto che proprio queste puntate non sono state curate dalla casa produttrice madre, ma siano state commissionate ad una casa esterna con l’obbiettivo di rimpolpare la serie per arrivare ai 39 episodi finali.
Il ritmo è comunque buono e attira lo spettatore anche al punto di stimolare un binge watching nostalgico come quello che ha fatto il sottoscritto.
Anche oggi, a distanza di anni (prima o poi la smetterò di farmi così male N.d.A.), dunque, le avventure di Nadia e dei suoi amici affascinano nel loro mix narrativo inusuale e meritano una visione anche con occhi diversi, che non penso avranno poi così tanto bisogno della nostalgia per godersi la serie.
E, a riprova di ciò, non ho neanche dovuto tirare fuori il fatto che fossi perdutamente innamorato di Nadia da bambino, pensate un po’.
TITOLO | Nadia – Il mistero della pietra azzurra
REGIA | Hideaki Anno, Shinji Higuchi
SCENEGGIATURA | Hayao Miyazaki, Hideaki Anno (storia) / Hisao Ōkawa, Yasuo Tanami (screenplay)
EPISODI | 39
DURATA | 24′
ANNO | 1990 – 1991