Dogtooth di Yorgos Lanthimos. Apollineo e dionisiaco familiare
Le parole nuove che impareremo oggi sono: mare, autostrada, fucile. Mare: è una poltrona di pelle. Autostrada: è un vento molto forte. Fucile: un magnifico uccello bianco.
Sperduta nelle campagne greche c’è una villa lussuosa in cui vivono tre figli e i loro genitori. Per volere del padre nessuno può oltrepassare i confini della tenuta – eccetto egli stesso. Le due sorelle e il fratello sono stati cresciuti con la convinzione che il mondo esterno sia un luogo pericoloso, raggiungibile solo grazie all’automobile il giorno in cui cascherà loro un canino, da cui il nome del film Dogtooth (Kynodontas in greco).
La pellicola è stata firmata nel 2009 dal regista ellenico Yorgos Lanthimos (The Lobster, Il Sacrificio del cervo sacro, La favorita); vincitrice del premio della sezione Un Certain Regard al 62° Festival di Cannes e candidata per l’Oscar al miglior film in lingua straniera nel 2011, è arrivata nelle sale italiane il 27 agosto 2020.
L’ecosistema narrativo del film si basa su delle regole e un linguaggio completamente scollati dalla realtà. I figli credono ciecamente alla possibilità che i canini possano cadere da soli e che i gatti siano creature maligne capaci di uccidere gli uomini. Tutte le parole riferite al mondo esterno hanno cambiato significato: telefono sta per sale, gli zombie sono dei fiorellini gialli, il mare è la poltrona. La marcata attenzione alla componente linguistica richiama alla mente 1984 – distopia orwelliana sul totalitarismo – in cui è stata imposta ai cittadini una nuova lingua, chiamata proprio Neolingua. Niente è lasciato al caso. Tutto è impeccabile, come anche la casa in cui vivono: ordinata e pulita. I figli indossano vestiti perfettamente bianchi, puri, non lordati dalla corruzione del mondo. L’ordine sociale imposto si riflette così sulla dimensione visiva.
Lo stesso regista ha dichiarato in più occasioni che la rimozione delle ragioni che spingono il padre a creare questo status quo ha il duplice scopo di porre l’attenzione sul risultato delle azioni del capofamiglia e di evitare il giudizio morale dello spettatore. L’anelito alla neutralità dello sguardo è sottolineato dalla fotografia: la macchina da presa è fissa, il montaggio ridotto all’osso e l’alta luminosità delle scene evidenziano l’idea di cogliere gli avvenimenti per come si manifestano nella maniera più chiara possibile.
Del resto, tutti i film di Lanthimos riflettono sui grandi temi sociali dell’uomo: La favorita riguarda il potere; Il Sacrificio del cervo sacro la giustizia; The Lobster la coppia come unico modo di realizzazione. Dogtooth, invece, indaga con distacco il contratto sociale – quel contratto alla base di ogni società per cui i governati accettano le leggi imposte dai governanti. Il contratto è guardato attraverso il concetto di unità familiare. Questa può essere vista anche come sineddoche dello Stato, che è una forma di contratto sociale e riguarda quindi i rapporti di potere tra autorità e sottoposti.
La tragedia greca – elemento sempre presente nelle sue opere – è richiamata attraverso i principi dell’apollineo e del dionisiaco di nietzschiana memoria. L’apollineo è la componente razionale e razionalizzante dell’individuo, che trova forma nel sistema asettico costruito dal padre di famiglia; il dionisiaco è l’impulso vitale, l’istinto, il furore e tutte le componenti irrazionali che accomunano l’uomo al resto degli animali. Durante il film il dionisiaco irrompe nella quiete apollinea in maniera improvvisa sul piano narrativo e visivo: atti violenti inaspettati macchiano di sangue le scenografie immacolate. Il furore ferino raggiunge l’apice quando Bruce – la figlia maggiore – si scatena nel famoso ballo di Maniac in Flashdance: gli spasmi ritmici del corpo richiamano alla mente le contorte posizioni in cui vengono raffigurante le menadi – le sacerdotesse celebranti il dio Dioniso seguendo riti caratterizzati dalla frenesia sessuale e dall’abbandono ai sensi.
Nonostante sia soltanto il secondo lungometraggio del regista, Dogtooth ha già in sé la componente archetipica che caratterizza la sua cinematografia. La scelta di lasciare i personaggi nell’anonimato, l’asetticità delle riprese e la recitazione straniante ai limiti del grottesco hanno l’obiettivo di ricercare lo sguardo più neutrale possibile non su un nucleo familiare particolare ma sul concetto di famiglia.
La forza del film – e del cinema – di Lanthimos – risiede proprio nella sospensione del giudizio, poiché ciò che conta non è arrivare alle risposte ma sollevare questioni importanti.
Titolo | Dogtooth
Regista | Yorgos Lanthimos
Anno | 2009 (uscita italiana 2020)
Durata | 93′
Alessio Chiappi