Viaggi impossibili (?) | 5 posti clamorosi che forse non visiteremo mai
Questo non è un reportage di viaggio, è un reportage immaginato di viaggi impossibili.
Credo che nei mesi di lockdown più o meno tutti abbiamo passato del tempo a sognare i posti che avremmo visitato appena ce ne sarebbe stata la possibilità. Dapprima è scoppiato il turismo di prossimità, molti hanno riscoperto i tesori segreti delle proprie regioni visitandoli a piedi o su due ruote, in ogni caso una gran parte degli italiani ha deciso che si sta in Italia o si va poco oltre, si va nella vecchia casa della nonna in valle o al mare, o in quella città un po’ troppo mainstream che si faceva finta di aver già visitato, per comodità, ma che questa estate sarà finalmente scevra da masse di turisti, e di scuse non ne rimangono più.
In ogni caso, visto che i grandi viaggi all’estero quest’anno saranno più rari del solito, quale momento migliore per fantasticare su posti lontani e sconosciuti che molto probabilmente non visiteremmo comunque? Vuoi perché sono remoti, perché costano troppo, perché “ho più ferie del solito e ho promesso che quest’anno facciamo finalmente il Cammino di Santiago” o, come vedremo, per motivi ben più gravi. Poi magari voi siete fortunati e ci andrete, e allora ringrazierete per il consiglio.
Dopo questo buon esempio di “maniavantismo” un’ultima postilla prima della cinquina: non si tratta di una classifica, è una divagazione, è un fantasticare fine a se stesso su luoghi che, un po’ per fortuna, un po’ per cause naturali, un po’ per cause tragicamente umane, sono poco conosciuti e sono rimasti tagliati fuori dai viaggi di noi fortunati che possiamo permetterci un grand tour.
Le grandi tragedie di questo decennio, da guerre e tumulti nel Medioriente a disperate migrazioni, divorano, obliterano pezzi interi del pianeta, rendendo possibili viaggi solo alla maniera dell’Ariosto, che così scriveva nella III Satira: “ […] il resto de la terra, / senza mai pagar l’oste, andrò cercando / con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra; / e tutto il mar, senza far voti quando / lampeggi il ciel, sicuro in su le carte / verrò, più che sui legni, volteggiando.” Insomma, viaggiare leggendo, navigando sulle carte. Unpopular opinion, anche oggi, ma quest’anno siamo stati quasi obbligati a farlo.
Il Darien Gap, Colombia e Panama
La Panamericana è un sistema stradale che attraversa le Americhe da nord a sud lungo 30.000 km, ma esiste un punto, laddove l’America Centrale si congiunge con l’America Meridionale, in cui le strade non si uniscono: il Darien Gap.
Il fascino del Darien non risiede solo nella sua natura di luogo totalmente incontaminato, corridoio di terra in cui le infrastrutture umane si interrompono bruscamente: nella regione si trovano due parchi naturali, il Parco Nazionale del Darien panamense e il Parco Nazionale Los Katìos colombiano, entrambi caratterizzati da una fittissima vegetazione, spesso endemica, che copre le ripide montagne del lato panamense e le pianure paludose della parte colombiana.
Attraversarlo è un’impresa estremamente rischiosa, non solo per il territorio ostile, ma soprattutto per i trafficanti di droga e i guerriglieri del FARC (Forze Armate Rivoluzionarie Marxiste della Colombia) che controllano la zona. Gli unici costretti ad affrontare il Darien sono i migranti, che lo raggiungono per transitare lungo il Golfo di Urabà, naturalmente pagando i trafficanti colombiani per garantirsi il passaggio.
I Sette Giganti degli Urali, Russia
I Sette Giganti, Man’pupunёr in russo: non potrebbe esserci nome migliore per questi monoliti di roccia dal bizzarro aspetto pressoché unico al mondo, che ricorda vagamente quello di giganti pietrificati. Sono alti tra i 30 e i 40 metri, e spiccano solitari sulla sommità di un colle della catena del Timani, estremità settentrionale degli Urali, nella remota Repubblica dei Komi. A vederli in foto sembra assurdo che non siano celebri quanto i parchi naturali americani, le Tre Cime di Lavaredo e altre guglie di roccia che rivaleggiano con i migliori esempi di architettura gotica.
Raggiungerli è complesso per via della sconfinata tundra che li circonda: i poggi erbosi (o nevosi) del Timani, nella riserva naturale del Pechora-Ilych, si estendono per un centinaio di chilometri prima dell’insediamento più vicino, per questo l’unico modo è affidarsi a un elicottero o a una motoslitta (non prima di essere stati in grado di raggiungere il cuore della Siberia)
Altopiano del Qiangtang, Cina
L’Altopiano del Qiangtang è il fratello meno noto degli altopiani desolati dell’Asia centrale, ma anche il più indomito e letale per l’uomo. Si trova nella parte settentrionale del Tibet, sulla carta geografica lo riconoscete per via dei numerosi laghi che occupano quella distesa grigia a nord dell’Himalaya a forma di cuspide.
Nel Qiangtang non abita nessuno, nemmeno i pastori, che si limitano ad attraversare la parte più meridionale ed erbosa, più vicino al Tibet.
Questa regione è caratterizzata da un’alternanza sorprendente di paesaggi: si passa da specchi d’acqua salata immersi nelle praterie, sul fondo di dolci valli culminanti in solitari picchi nevosi, a pianure desertiche di nuda roccia che subiscono frequenti inondazioni-lampo. La siccità è la caratteristica principale del Qiangtang più aspro, quello settentrionale, dove il tutto è complicato da una temperatura che va dai 10°C estivi ai -35°C invernali, e da un’abbondante popolazione di lupi. Attraversarlo è una delle imprese più complesse per gli esploratori: d’inverno non si può far affidamento su sci o slitte (come nel caso delle esplorazioni antartiche), dato che i venti non permettono alla neve di attecchire, e d’estate le inondazioni sono fulminee e frequenti.
Un tentativo di attraversare il Qiangtang in bici è stato raccontato dal regista cinese Hantang Zhao nel film ”77 giorni”: a parte qualche impennata da adventure movie di Hollywood può essere un buon modo di scoprire questi paesaggi primordiali.
Isole Diomede, Russia e Stati Uniti
La particolarità di queste due isole non sta nell’essere remote o connotate da una biodiversità unica, anche perché le Diomede sono poco più che piccoli altopiani erbosi, che si ergono dal mare come scogli troppo cresciuti. Ciò che le rende speciali è la loro posizione sulle nostre carte geografiche, una caratteristica che fa di loro l’unico luogo in cui il nostro modo di scandire e misurare il tempo trova una falla: le Diomede si trovano sullo stretto di Bering, una fa parte dell’Alaska e una della Russia, tra le due però passa anche la linea del cambiamento di data, nonostante siano separate da un braccio di mare di poco meno di quattro chilometri.
Il risultato è che l’isola Diomede russa è ventuno ore avanti rispetto alla sua gemella statunitense, insomma, se capitaste sulla Diomede più piccola, appartenente all’Alaska, vedere il futuro sarebbe davvero facile (nuvole permettendo). Ma le isole sono prive di porti: hanno coste alte, erose dai ghiacci e dalle forti correnti. L’unico modo di raggiungerle sono piccole barche private o elicotteri, ma già di per sé risulta arduo recarsi nella parte più orientale della Siberia, la penisola di Ciukci, e da lì trovare un modo di atterrare su queste due limiti alle due estremità delle nostre giornate.
Isola di Socotra, Yemen.
Socotra si trova nell’Oceano Indiano, a 350 km dalla costa yemenita e a 300 km da quella somala.
La sua particolarità sta nel fatto di essersi distaccata dalla placca africana nel Terziario, permettendo lo sviluppo di specie animali e vegetali che esistono solo qui, e sono ben il 37%, non per niente è Patrimonio dell’Unesco. Il cuore dell’isola è un altopiano calcareo solcato dai caratteristici “uidian”, letti di fiumi e torrenti non perenni, inframezzati da rade foreste di alberi dall’aspetto alieno, che sembrano usciti dalla penna di Moebius; il più celebre è l’Albero di Sangue di Drago, con le fronde a forma di ombrello.
L’isola costituisce un unicum anche dal punto di vista storico e religioso: nonostante la popolazione sia interamente musulmana almeno dal ‘500, prima era presente un cristianesimo sincretico, che univa lo spiritualismo endemico ai dettami della Chiesa Assira. Una religiosità che affascinò anche Marco Polo, che così ne parla nel Milione: “Diròvi di loro incantesimi. Se una nave andasse a vela, forte, eglino farebbero venire vento in contradio, e farebberla tornare adrietro; e sì fanno venire tempesta nel mare quand’e’ vogliono, e fanno venire quale vento vogliono; e sì fanno altre cose maravigliose che non è buono ricordare.” Probabilmente l’esploratore si riferiva al fatto che per sei mesi l’anno l’isola è complicata da raggiungere via mare, a causa dei forti monsoni che attraversano l’arcipelago, e al fascino di una cultura che ancora oggi risulta unica, in quanto commistione di più realtà: quella araba, portoghese, indiana, somala. Persino la lingua, il soqotri, trova poche somiglianze con le varianti arabe parlate nella penisola arabica.
Il motivo per cui questa isola è difficile – se non impossibile- da visitare è uno dei più classici quanto tragici: la guerra. La posizione di Socotra infatti la rende un importantissimo snodo geopolitico e, dopo cinque anni passati a margine del conflitto che ha attraversato e spaccato in due lo Yemen, è ora parte integrante del braccio di ferro tra i ribelli Huthi (sciiti sostenuti dall’Iran) e la coalizione formata dal governo centrale, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Ma non è solo la guerra a minacciare i paesaggi paradisiaci di Socotra: il cambiamento climatico infatti sta devastando la preziosa flora insulare e le spiagge negli ultimi anni sono invase dalla plastica. Il rischio che questa perla del golfo di Aden rimanga definitivamente una destinazione da viaggio immaginato è sempre più concreto.