Vogliamo anche le rose
Turiamoci le orecchie
“L’articolo 3 della costituzione italiana dice: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingue, di religione, cioè non c’è distinzione fra uomo e donna”
Finisce così il film “Vogliamo anche le rose” di Alina Marazzi, con una maestra che pronuncia queste parole a una classe di donne sui 50 anni, che la guardano spaesata ma che hanno dei quaderni in mano: rappresentano il momento in cui la consapevolezza di poter esprimere la propria opinione e di avere proprie idee ha spazzato via il silenzio della sottomissione e dell’ignoranza.
Questo film me l’ha consigliato la mia professoressa di italiano delle superiori, donna severa ma capace di trasmettere le sue passioni, ed è un documentario-testimonianza di tutto il percorso che ha portato le donne a raggiungere l’emancipazione e i propri diritti, iniziato verso la metà del ‘900. Ma non è un film visto e stravisto che parla di ciò che tutti sanno già: anzi, parla anche di questo, riporta immagini dell’epoca che raccontano cosa succedeva “fuori”, sotto gli occhi di tutti, cosa pensavano l’opinione pubblica e le famiglie, cosa succedeva nel mondo del lavoro, alla televisione, ma anche della personale, soggettiva esperienza che hanno avuto tre donne “in mezzo al mucchio”, tre voci narranti che spaccano i timpani e riportano tutto alla realtà.
diario di Anita, Milano 1967
“ma come si fa a vivere fuori dalle convenzioni sociali?”
A 11 anni capisce la differenza fra bene e male, a 14 perde la sua credenza religiosa, a 16 inizia a rapportarsi con il suo pessimismo, a 18 conosce i problemi sentimentali, parla d’amore ma si sente bloccata, vive con l’immaginazione ma non con la propria pelle. È fredda, una pietra, non prova sensazioni, ha paura. Non riesce a concepire il sesso come atto naturale e la sua negazione scaturisce in lei nella sessuofobia. Anita è piena di dubbi, di questioni irrisolte, non si sente in linea con ciò che la circonda, idee persone che siano. Anita è rovinata dalle sue molteplici negazioni.
diario di Teresa, Bari 1975
“io ho diritto alla libertà, conquistata non con la menzogna, ma con coraggio e dignità”
si iniziava a parlare di aborto, di diritto alla maternità, di “l’utero è mio e me lo gestisco io”, ma visto da vicino, che traumi poteva avere un aborto su una donna in quegli anni, soprattutto se era molto giovane? La paura dei genitori, di non sapere come affrontare la situazione e non avere persone fidate davanti. Sentirsi profanate all’interno del corpo e non sapere se si riuscirà ancora ad amare un uomo, ad avere figli. La regista spiega tutto questo con dei piedi che camminano sul ghiaccio e una nave che spezza la superficie del mare gelato per passare. Ma poi arriva il calore di una nuova consapevolezza, una nuova forza, il dopo era cominciato.
diario di Valentina, Roma 1979
“io non credo agli istinti, l’amore lo faccio con la testa”
forse la testimonianza più criptica e la mente più indecifrabile delle tre, sicuramente la voce più intensa. Guarda le donne e ne parla, osserva tutto standoci dentro, impegnata, ma standoci anche un po’ fuori, elencando gli sbagli, le banalità, le occasioni perse dei movimenti femministe e delle lotte. Perennemente indecisa, in lotta con la normalità, con la superficialità, con il sesso facile e l’orgasmo da urlo, con il proprio corpo e il proprio uomo, ma convinta di voler essere libera di fare quello che più le piace. Un po’ disillusa, a volte. Sostiene che le donne abbiano un coraggio enorme a indagare i rapporti fra donne ma poi si sminuiscono, perchè indagare i rapporti non è politica, è inadeguatezza. Una mente fortissima.
Tutto in questo film è descritto con collage di immagini, con fumetti, con video di interviste e dibattiti dell’epoca, a volte con immagini che non accompagnano soltanto la voce narrante, ma che ne rendono ancora più difficile l’interpretazione oppure che la rendono più sfaccettata. Non ho capito un milione di immagini che mi sono scorse davanti agli occhi, alcune così introspettive, che andrebbero fermate e osservate, oppure riviste insieme alle altre ancora e ancora per capire tutti i significati che hanno percorso un’epoca e milioni di volti e di occhi e che sono usciti da tantissime bocche di persone stanche di non poter essere riconosciute nella loro essenza e particolarità. Riusciamo a parlare di questi argomenti perchè sono attuali, ritornano ciclicamente negli anni anche se con sfaccettature storiche diverse, ma ogni persona li vive nella propria individualità. D’effetto la musica che accompagna ogni immagine, interpretata dal gruppo “Ronin” (anche l’immancabile “Here’s to you”).
Una frase che mi ha colpito è stata “è bene che ogni tanto uno si turi le orecchie”: per non seguire tutto quello che dicono gli altri, per fare un po’ di testa propria e capire da soli cosa è giusto e cosa è sbagliato.
La vera emancipazione è stata iniziare a pensare con la propria testa.
Ginevra Formentini
Vogliamo anche le rose, Italia 2007
regia: Alina Marazzi
voci narranti: Anita Caprioli / Teresa Saponangelo / Valentina Carnelutti
sceneggiatura: Alina Marazzi
fotografia (in post-produzione): Mario Masini
musica: Ronin
durata: 1h21’
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