Gli Idles sono il punk dei giorni nostri

Gli Idles sono il punk dei giorni nostri

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“È come se 4 pazzi fossero scappati da un manicomio e avessero rapito il loro commercialista per costringerlo a suonare la batteria nella loro band”.

Pare strano lasciare l’intro di un articolo a un commento su Youtube ma gli Idles sono esattamente questo, niente di più e niente di meno.

Gli Idles sono il punk degli anni nostri. Sporchi, acidi, aggressivi, stonati al limite della decenza, privi di qualsiasi senso del pudore, imperfetti.

Eppure qualcosa non torna.
Intanto il loro ultimo disco, mai abbastanza celebrato, si chiama “Joy as an act of resistance”.

JOY? Ma il punk non era tutto nichilismo, distruzione e rabbia?

E poi questa gente sorride e piange e parla d’amore, emozioni, amicizia, fratellanza, uguaglianza. Questi Sex Pistols 2.0 a metà concerto si inginocchiano, le mani sugli occhi a nascondere le lacrime come un James Blunt qualsiasi, sempre che non stiano saltando tra il pubblico per sudarci allegramente addosso.

Dimenticatevi anche chiodo nero e borchie, la band non ha estetica nè outfit perchè non c’è superficie da trasmettere. Tutto sembra talmente diretto e in faccia, quando ascolti gli Idles, che non ti immagini quanto substrato ci troverai scavando.

Per spiegarmi meglio, uno dei manifesti del quintetto di Bristol si chiama Samaritans e il ritornello dice:

the mask of masculinity
is a mask that’s wearing me
I’m a real boy, and I cry
I love myself and I want to try
this is why you never see your father cry

Quanta verità può essere contenuta in 34 parole?

Gli Idles – non esattamente icone di stile

Altrimenti, l’avete sentita Danny Nedelko? Un inno alla diversità, alla non linearità, un gigantesco grido a favore dell’immigrazione che quasi si ricollega a Your Queen is a Reptile dei Sons of Kemet. Gli ultimi, tra fiati e improvvisazione jazz, intitolavano ogni canzone a un’eroina africana diversa.

Gli Idles rispondono con “my blood brother is an immigrant, a beautiful immigrant. My best friend is Freddie Mercury, a Nigerian mother of three

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Per tornare al commento Youtube di inizio articolo, il batterista va a tempo che sembra una drum machine su un disco del 1985. È preciso al millesimo di semibiscroma. Suona con gli occhiali da vista.

Attorno a lui, un caos cinetico privo di punti di riferimento armonici e (men che meno!) melodici che all’inizio può dare le vertigini, stomacare addirittura, ma con il passare degli ascolti prende sempre più la forma (liquida) della libertà.

È che gli Idles hanno le spalle allargate da due o tre esperienze personali piuttosto potenti, vedi alla voce “morte di una figlia” e altre storie simili.È che oggi per essere punk devi scontrarti col nichilismo della società, con la violenza da parcheggio rubato, con il populismo, con il razzismo, con tornatevene a casa vostra. Oggi è la definizione stessa di ribellione che cambia.

Se negli anni ‘70 essere alternativo e ribelle significava drogarsi come Sid e non rispettare nemmeno tua madre, spararsi di eroina in vena e poi tagliarsi le vene con Nancy, oggi il vero atto di resistenza è guardarsi dentro, andare in terapia, uscire dalle dipendenze chimiche, piangere e sorridere, cazzo. Nel nostro presente la gioia è una scelta fuori dagli schemi.

Non mi fate fare il filosofo buddista che tanto non sarò mai, ma in un mondo di eccessi votati unanimemente a distrarci e farci evadere dalla realtà la vera scelta alternativa passa per la consapevolezza, la lucidità e lo sfogo positivo delle energie e delle emozioni come terapia collettiva.

Io, che tutte queste cose nuove le faccio per i fatti miei già da un annetto abbondante, mi sento meno solo. Ascolto e guardo questi 5 coetanei e il cuore mi si riempie di sentimenti che non è facile ammettere di provare, sia mai che mi prendano per una mammoletta.

Gli Idles mi fanno bene perchè quando ascolto gli Idles non devo essere niente.

Essere felici (o perlomeno provarci) è il più grande dito medio che possiamo dedicare a questo mondo conforme, ordinato, social, che dimentica la bellezza di avere accanto le persone giuste sostituendola con l’ossessiva ricerca di qualcosa da fare e fotografare, mangiare, condividere.

Essere felici è punk, gli Idles sono felici e ci fanno stare bene.
Gli Idles, come ho già detto poche righe più sopra, sono essi stessi assiomaticamente il punk. 

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