Madre | La danza bizzarra di Bong Joon-ho
Un campo di grano dorato si dispiega attorno alla figura esile di una donna di mezza età, vestita di viola, che cammina guardando verso l’orizzonte, al di là della telecamera. Dopo essersi guardata intorno con fare circospetto, prende coraggio. Parte una musica malinconica ma frizzante, e la donna inizia a eseguire con precisione i passi di una danza bizzarra, che la vede alternare stati d’animo abbandonati a scatti di seria contrizione o di ferma risoluzione, in bilico tra comico e tragico.
A partire da questo incipit memorabile e spiazzante è chiaro che il genio creativo di Bong Joon-ho consiste nella capacità di creare delle aspettative e disattenderle un secondo dopo, in un divertito filare e distruggere, per poi filare ancora la tela di racconti tutto sommato ordinari, nella loro atroce mostruosità. Così, con assoluta nonchalance, il regista sceglie l’attrice coreana più popolare della tv, Kim Hye-ja, da lui stesso definita in un’intervista una sorta di “madre della nazione”, e dopo averle concesso uno sguardo misterioso all’orizzonte, la accende improvvisamente di una follia strana, intrigante e isterica.
Dopo il vero e proprio “caso Parasite”, che ha visto il mobilitarsi capillare di voci di corridoio, passaparola, firme prestigiose, giurie e premi nella unanime esaltazione di un film insolito e potentissimo, sono stati diversi i cinema che hanno riproposto in retrospettiva capolavori mai distribuiti in Italia di un regista che senza dubbio sa far parlare di sé. Il film di cui vi sto parlando, Madre del 2009, è stato riportato in sala dalla Cineteca di Bologna, poco prima che un altro virus si annidasse in ogni conversazione, dal bar alla mensa aziendale, dal circolo di cinefili alla cena tra amici.
Come aveva già fatto in Memorie di un assassino nel 2003, Bong Joon-ho ripropone in Madre uno schema a tratti sadico ma più che altro brillante, ovvero quello di disseminare il film di elementi che rimandano a un preciso genere, thriller/poliziesco in entrambi i film citati, per poi rovesciarlo del tutto, generando l’effetto di voluta frustrazione in chi guarda. La storia di Madre infatti non è particolarmente originale: una madre rimasta vedova, Hye-ja, circonda il figlio Yoon Do-joon, ormai ventottenne e affetto da un lieve deficit mentale, di eccessive cure e attenzioni. Il ritrovamento del corpo senza vita di una giovane studentessa e la successiva accusa contro Yoon Do-joon trascineranno sua madre nel tentativo disperato di scagionarlo, coinvolgendola in una vera e propria investigazione dalle estreme conseguenze.
Bong Joon-ho taglia i suoi personaggi come uno scultore affonda lo scalpello nella materia, a colpi di primi piani che in poche agili mosse restituiscono un ritratto preciso della loro essenza e del loro carattere. Dimenticando per un secondo l’incipit che aleggia e si connota di nuovi significati mano a mano che le vicende si dispiegano, la prima volta che vediamo Hye-ja è nel suo negozietto polveroso, mentre guarda apprensiva il figlio dall’altro lato della strada. Poco dopo lo imbocca mentre lui urina appoggiato al muro, come si fa con un neonato di cui soddisfare i bisogni primari in qualunque ordine si presentino. La tensione cresce quando diventa chiaro che quegli indizi di instabilità e follia presenti in Hye-ja sin da subito in maniera latente sono un sintomo reale della sua depressione e dell’attaccamento morboso nei confronti del figlio.
La Corea del sud vista dalle inquadrature di Bong Joon-ho appare asfittica, disordinata e spesso grottesca, tanto nei cunicoli pericolanti delle città di campagna da lui predilette, quanto nei volti deformati, inebetiti o stranamente docili dei suoi personaggi, spesso vittime del destino, della tragedia e della follia uniti a una buona dose di corruzione e strutture sociali disfunzionali. Centrale in Memorie di un assassino, la contrapposizione Seul/campagna assume in Madre tratti sfumati, finalizzati a costruire l’ambientazione come elemento corale di un dramma che è concentrato nel rapporto madre-figlio.
Descrivendo una maternità ossessiva e un maschile annichilito dalle carezze materne, Bong Joon-ho intende dare uno spaccato della società coreana, dichiarando che il suo è un ritratto (e una critica neanche tanto sottile) del “maschio medio coreano”.
La figura materna contiene in sé la forza distruttiva dell’amore, esatto specchio del dolore di cui il corpo di Hye-ja chiede di liberarsi. Lontano da ogni possibile redenzione, lo sguardo complice del regista sembra suggerire che solo un estremo atto di amor proprio e il sacrificio dell’oblio possono salvarci dall’ossessione amorosa, come la sapiente puntura di un ago nella coscia è in grado di alleggerire la tensione del cuore.
Titolo | Madre
Regia | Bong Joon-ho
Anno | 2009
Durata | 129 minuti