Jodorowsky’s Dune, la montagna sacra del cinema
Difficilmente tratto di documentari, non sono il mio genere e spesso li trovo poco interessanti. Didascalici, alcuni, o troppo di parte, altri. La maggior parte con l’idea di trasmettere una parte, veritiera e reale del mondo (o almeno così percepita da chi idea e dirige il film stesso) al pubblico. Con l’intento di (di)mostrare e svelare una realtà magari celata. Quello che appare lampante è la necessaria aderenza al dato di realtà, cioè alla volontà di “documentare”. Esistono, però, delle eccezioni, che superano il rigore del genere, diventando improvvisamente interessanti, in quanto creature mal definibili e sfaccettate. Jodorowsky’s Dune di Frank Ravich incarna proprio questa multiforme capacità di uscire dal binario del genere, pur confezionando un prodotto attento e capace di piacere.
L’intento è chiaro: fare un documentario sul più importante, il più influente, il più straordinario film dell’intera storia del cinema. Peccato che questo film non sia mai stato realizzato. Eppure lo vediamo chiaramente davanti ai nostri occhi, durante il documentario, e oltre.
Un arzillo ottantaquattrenne (ma ne dimostra circa venti di meno) viene intervistato e ci parla della sua avventura, con occhi brillanti e sorriso aperto. Si tratta di Alejandro Jodorowsky, regista, artista, psicomago, scrittore, sciamano, mimo, filosofo, attore. Creatura mutevole, impossibile da incatenare in una sola definizione, alla quale veniamo introdotti con una prima sequenza che inquadra vari particolari del suo studio, provando a racchiudere le sue moltissime influenze e passioni: i suoi fumetti, i suoi libri, il tarocco, i suoi film. Accostamenti di foto, oggetti antichi a fianco di un moderno IMac. E poi irrompe la sua voce, ferma e allo stesso tempo giocosa, che ci informa come per lui il cinema sia arte e, come tutte le arti, sia ricerca e costruzione dell’anima. L’unico vero obiettivo della vita. Ecco Jodo: guarda in camera, guarda noi e dice parole profondissime, come fossero aneddoti scemi. Poi inizia la narrazione della battaglia per Dune.
Negli anni settanta un produttore folle e avventuroso decise di dare carta bianca per la realizzazione di un film a Jodorowsky, appena uscito dal successo de La Montagna Sacra, che presto era diventato un cult del cinema indipendente. Il regista aveva una chiara idea in mente, ambiziosissima: realizzare un film capace di aprire la mente delle persone, capace di affermarsi come “profeta artistico, dio cinematografico in terra”.
Come lui stesso afferma, passando dallo spagnolo all’inglese, la volontà di realizzare un film capace di dare l’effetto dell’LSD, senza assumere droghe. Aprire le porte della percezione, solo guardando lo schermo. E cosa meglio di un’epica saga di fantascienza, come metafora, con la possibilità di lavorare nella libertà più assoluta, perché non necessariamente aderente ad una “veridicità”? Progetto impensabile, forse impossibile, per il quale Jodorowsky e una banda di “guerrieri”, come lui stesso li definisce, lavorarono per oltre due anni.
La scelta dei guerrieri è fondamentale, afferma. Li scelse tutti lui, personalmente, dopo averli cercati ed essersi confrontato con loro. I loro nomi fanno girare la testa e vengono raccontati con divertimento in una serie di episodi, dove il caso e la personalità carismatica del regista giocano un ruolo alla pari. Per primo si unisce alla folle impresa Moebius (nome d’arte di Jean Giraud), fumettista francese capace di spaziare dal western alla fantascienza, sua vera passione. Sarà lui a disegnare l’intero storyboard, l’unica tangibile rovina monolitica di quell’impresa faraonica. A lui si aggiungeranno molti altri: l’esperto di effetti speciali Dan O’Bannon, il disegnatore Chris Foss per disegnare le navi spaziali, David Carradine che “corse” da Jodorowsky quando seppe della possibilità di un tale film, l’artista tedesco Giger (quello che ha creato l’universo di Alien, per capirci) e molti altri.
Emergono dai suoi aneddoti come figurine di un puzzle, di un enorme gioco del fato che il regista percorre tirando i suoi dadi. Sempre alla ricerca della luce del genio in ciascuno, nutrendo quella scintilla col proprio estro, motivando e continuamento illuminando la loro strada. Si scontra con i Pink Floyd perché non lo ascoltavano, preferendo mangiare dei Big Mac, fino ad ottenere che loro avrebbero fatto un superalbum dedicato a Dune, che sarebbe stato parte della colonna sonora.
Poi Jodo decide che avrebbe arruolato Dalì (sì, quel Dalì, nientemeno) e per caso si trovarono nello stesso hotel a New York, pedine di un destino che soffiava nelle vele di Dune. Il regista invita l’artista inviandogli una pagina strappata da un libro sui tarocchi, contenente la carta dell’Appeso. Tutti gli aneddoti nella bocca di Jodorowsky diventano fatati, figli di un disegno superiore, ammantati di ironia e magia. Dalì accettò a patto di essere l’attore più pagato di sempre, con un cachet di 100.000 dollari l’ora, che poi divennero 100.000 al minuto.
Incontrò poi Mick Jagger che semplicemente attraversò la stanza del party a cui entrambi erano invitati per dirgli “Yes”. Ed infine Orson Welles, scovato in un momento di gola lussuriosa, come fosse il suo Falstaff, e convinto a partecipare dopo avergli promesso un cuoco parigino personale che avrebbe cucinato per lui tutti i giorni.
La maggior parte di questi incredibili personaggi non aveva mai letto Dune di Frank Herbert, da cui il film sarebbe stato tratto. Né lo lesse mai. Lo visse attraverso gli occhi di Jodo e la sua fantasia e la matita di Moebius, affidandosi completamente al nocchiero di questa nave, al comandante di questa truppa di guerrieri della luce.
Sono gli stessi guerrieri, protagonisti di questa battaglia sacra e persa in partenza a guidarci nel luminoso mondo di Dune. Il regista Frank Ravich non deve fare nulla se non alternare le interviste, le voci ed i volti, con le immagini dei bozzetti di Moebius, per portarci in una galassia lontana lontana…
Il fatto che il film non si realizzò, per problemi di budget, di politica, di destino, è marginale. Questo film cambiò la vita a tutti coloro che ne vennero in contatto. Molti dei “guerrieri”, ad esempio, non avevano mai lavorato nel cinema prima di allora, fra cui Giger, che alcuni anni dopo divenne in creatore degli Xenomorfi di Alien, di cui O’Bannon firmò parte degli effetti. Oppure lo stesso Moebius che collaborò con innumerevoli film successivi.
Dai bozzetti dello storyboard nacque, poi, L’Incal, capolavoro a fumetti della letteratura di fantascienza, firmato, appunto Jodorowsky& Moebius. La linfa instillata al genere fantascientifico ed al cinema tutto di quegli anni venne variamente declinata in moltissimi film, nascosta, sottesa, ma sempre presente. Come se Dune attraversasse tutta Hollywood, come se i piccoli frammenti della sua colossale anima artistica fossero finiti in molti film diversi, dallo stesso Star Wars, fino a Terminator, a Flash Gordon, fino al più recente Prometheus.
Un film che attraversa la storia del cinema, come un’idea. Perché i film, ci spiega Jodo, come l’arte in genere, hanno cuore, hanno mente, coscienza, possibilità di trasmettersi. O dovrebbero averlo. Dovrebbero vivere fuori dallo schermo in noi e per noi, influenzare quello che facciamo e le nostre decisioni. Altrimenti rimangono solo semplice intrattenimento.
Titolo: Jodorowsky’s Dune
Regia: Frank Ravich
Anno: 2013
Durata: 90 minuti
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