Voglio bene ai paesi | Franco Arminio
Leggere Franco Arminio per innamorarsi di nuovo di un paese, aprire porte chiuse a chiave, piantare melograni, tornare a casa.
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Da qualche tempo siamo tornati alla casa dei miei nonni materni.
Siamo tornati carichi di scope e buste di plastica e scatoloni e alberi più o meno piccoli da piantare: un’operosità sempre più urgente ci ha fatto spalancare finestre, aprire cantine, spolverare libri, divellere cespugli disordinati, stendere lenzuola al sole d’ottobre per fare tesoro del calore disinfettante e vivificatore.
Abbiamo invaso gli spazi ampi e disseminati di un paese quasi sopito, quell’Aquino della summa theologica ormai piccolo nugolo di edifici riposto con abbandono nel mio cuore, figlio diretto del lutto e della polvere che continuava a posarsi nelle stanze grandissime e vuote.
Poi abbiamo riempito le stanze di luce. E affondata su un divano terribilmente anni ’60 perchè veramente degli anni ’60 leggevo Franco Arminio, tutte le parole di Resteranno i canti che sono gocce di luce. Franco Arminio paesologo irpino ci fa fare pace con i paesi piccoli e senza caos, con ogni sillaba disegna contorni netti e amorevoli a quelle quotidianità lontane, alle normalità fatte di edifici forse da ristrutturare e terre coltivate a circondarne i confini.
Poeta che coglie i gesti simbolici che celano significati abissali, la prassi lenta del rivolgere un cenno di saluto al morto che passa nel carro. Nelle sue parole che sono semplici e universali vedo la panchina, la vedo se mi affaccio dalla finestra, che riempie il vuoto davanti alla chiesa, centro fisico e perimetrale del paese. Vedo gli sparuti cagnolini e, se mi sporgo, vedo i campi al confine cittadino, la pigrizia assopita delle piante e delle colture nella pianura della Terra del Lavoro.
Ritornando alla casa degli avi colgo tutto l’amore delle parole di Arminio, quell’affetto quasi violento per questi centri di vita periferica, così lontani dall’urgenza e dalla fretta e dall’asfalto vivo e agitante della metropoli. Mi ritrovo ad amare anche io di più questa terra di lentezza e rumori rari, queste pietre per caso, questo vuoto fra le case perchè di spazi ce ne sono fin troppi. Trovo una pace nuova nei paesi e nelle poesie di Arminio, che mi ha spolverato le ciglia e ha tirato fuori dal mio sterno quell’amore antico per la terra familiare, per il piccolo centro del mondo che sono le case di chi se n’è andato.
E trovo nella casa di nonna che torna a vivere proprio quel sentire lì, quello dell’ultima riga, quello del grano che cresce sulle frane.
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Voglio bene ai paesi.
Voglio bene a quelle case sgraziate
che ti accolgono alla periferia.
Voglio bene ai paesi e a quella panchina
davanti alla chiesa e a quel cane
che rovista in una busta vuota.
Voglio bene ai paesi quando c’è un funerale,
voglio bene a chi si toglie il cappello,
a chi abbassa lo sguardo.
Voglio bene ai paesi e a tutta la terra
che hanno intorno, al grano che cresce
sulle frane.
(Franco Arminio – Resteranno i Canti, 2019)