Decadentismo, alienazione, sottomissione: la fantapolitica di Houellebecq
Tra fantapolitica e distopia, Houellebecq immagina la Sottomissione della Francia all'islam. Possono il suicidio culturale europeo e l'alienata solitudine dell'individuo rispetto al mercato dare vita un neo-patriarcato teocratico e dai veli neri?
Lo so, di Houellebecq ho già parlato a proposito de “Le particelle elementari”, il che aggiunge alla certezza di essere noioso il rischio di risultare ripetitivo; ma c’è poco da fare, tra gli autori frequentati di recente è lui quello che ritorna in forma di riflessioni disturbanti, lui con il quale sento di dover fare i conti.
Al di là del suo habitus ricorrente di protagonisti maschili e maschilisti, patologicamente alle prese con la propria sessualità, tendenzialmente depressi, i temi che tratta sono di un’attualità che invoca un confronto urgente: il mondo riflesso dai suoi romanzi già si agita sotto ai nostri occhi, Houellebecq non fa altro che scostare il dito dietro il quale noi spettatori del presente ci nascondiamo.
Ed eccoci a “Sottomissione”, ovvero di come la Francia si trasforma in uno stato islamico.
La voce di François, “uomo di una normalità assoluta” racconta, tra fantapolitica e distopia, l’avanzante destra lepeniana arginata da un’improbabile alleanza tra moderati e Fratellanza Musulmana. Quest’ultima salirà al potere innescando una serie di mutamenti politici culminanti nella generalizzata sottomissione all’Islam da parte delle istituzioni.
Poco credibile se, nell’occidente secolarizzato, il catalizzatore di questo sconvolgimento fosse uno slancio metafisico; ciò che occorre a Houellebecq è una convincente ragion pratica.
Il cessare delle violenze delle minoranze precedentemente non rappresentate o i petrodollari a sostegno della spesa pubblica, tanto per fare qualche esempio, sono elementi validi, ma limiterebbero l’opera ad un esercizio saggistico. L’arte sta nel fare scorrere questa ragion pratica nel protagonista, tradurre la sociologia o l’economia in atti e sensazioni “vere” per lui, dunque verosimili per il lettore.
Perché io, accademico, dovrei convertirmi per andare ad insegnare in un’università islamica finanziata dalle petromonarchie? Molto prosaicamente, perché questi finanziamenti triplicano il mio stipendio.
Perché io, cresciuto nella cultura europea, dovrei oppormi al suo superamento, alla sua sostituzione?
Per il declino dell’arte del vivere. Ripercorrendo la storia dei bordelli ad esempio, il protagonista osserva che “in un secolo (…) il ricordo di certe pratiche sessuali era scomparso dalla memoria degli uomini – un po’ come scompaiono certi sapere artigiani, tipo quello degli zoccolai o quello dei campanari. Come non condividere, quindi, l’idea della decadenza dell’Europa?”
Perché io, uomo medio, dovrei abbracciare il modello patriarcale islamico?
Perché sto invecchiando, perché sono solo e perché questa alienante solitudine mi uccide:
“a partire da un certo livello di deterioramento fisico (…) resta solo un tipo di rapporto che possa direttamente, e realmente, avere senso, ed è quello coniugale”
…o meta-citando Huysmans (autore oggetto degli studi del protagonista François):
“la golosità si era stabilita in loro come un nuovo interesse, scaturito dalla decrescente curiosità dei loro sensi, come una passione di preti che, privati delle gioie carnali, nitriscono davanti a pietanze delicate e vini invecchiati. Chiaramente, ai tempi in cui la donna (…) preparava le vivande e faceva sobbollire per ore il ragù, poteva svilupparsi una relazione tenera e nutriente; l’evoluzione dei condizionamenti alimentari aveva fatto dimenticare quella sensazione che peraltro (…) non era che una debole compensazione per la perdita del piacere carnale”
Dunque io, professore di mezza età, vado incontro alla sottomissione e con essa verso “l’opportunità di una seconda vita, senza molto nesso con la precedente. Non avrei avuto niente da rimpiangere”.
Io lettore invece, che i panni di François spero di non vestirli mai, riesco comunque a capire la sua scelta, riesco a figurarmi migliaia di individui che nella molle ritirata di ideologia e identità, faranno i loro calcolini su guadagnare, mangiare, scopare, sottomettersi.
Qui sta il grande potere del romanzo: la chiave emozionale che si aggiunge ed amplifica quella razionale, rendendo la Francia islamizzata non soltanto un possibile esito meccanicistico di date cause, ma una distopia che perturba la tua realtà perché temi che la fiction possa uscire dai confini della pagina.
E, si badi bene, tutto questo non significa riscoprirsi islamofobi, accusa puntualmente rivolta a Houellebecq, ma piuttosto emergere dal libro domandandosi fino a che punto la fanta-decadenza sia “fanta”, o quanto debole e attaccabile sia la nostra identità culturale (ammesso che ciò abbia ancora senso in un mondo in cui il mito della città globale iper-connessa si realizza recidendo le proprie radici e abbracciando l’atomizzazione sociale).
L’alienazione, il ritrovarsi soli difronte al libero mercato, la solitudine del protagonista; quanto sono davvero fiction? Quanta è la distanza dalla nostra esperienza quotidiana?
Soprattutto, possono le esperienze individuali dei tanti François reagire con gli elementi instabili delle politiche occidentali generando un neo-patriarcato teocratico e dai veli neri?
Questioni da avvicinare con un contatore Geiger, ma che rendono “Sottomissione” opera grande e segnante, tanto per qualità narrativa che per capacità di parlare dei nostri tempi, di un presente verosimile e di un futuro possibile.
Ognuno maturi le proprie conclusioni e, se crede, preoccupazioni; certo è che se la face recognition e l’AI ci hanno fatto correre in soffitta a recuperare una copia di 1984, i fatti di cronaca o l’opinione pubblica dovrebbero farci prendere “Sottomissione” in mano, rapidamente.