Prima della pioggia (film): il tempo non muore, il cerchio non è...

Prima della pioggia (film): il tempo non muore, il cerchio non è rotondo

prima della pioggia

With a shriek, birds flee across the black sky, people are silent, my blood aches from waiting.
Con un grido, gli uccelli fuggono attraverso il cielo nero, la gente tace, il mio sangue duole nell’attendere.

|Meša Selimović

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“Il tempo non muore. Il cerchio non è rotondo” è il motto del film Prima della pioggia che nonostante abbia già 25 anni, resta più che mai attuale.

Scritto e diretto da Milcho Manchevski, il film è diviso in tre storie: Words quella dell’incontro di una ragazzina albanese in fuga e un monaco macedone che ha fatto il voto del silenzio, Faces quella di un editrice britannica incinta e in crisi con il marito e Pictures che racconta di un fotografo di guerra che ritorna in Macedonia dopo 16 anni di assenza.

Questa affascinante (e cinematograficamente parlando bellissima) triade di amore e violenza, non è solo un’elegia dell’innocenza perduta o un lamento contro le follie della guerra, ma più di tutto è un memento a tutti, per ricordarci che “il tempo non muore” e tutto ritorna in un “cerchio non rotondo”: un tempo che fa giri incomprensibili, si insinua come acqua nelle fessure della storia e riemerge ovunque, antico e sempre nuovo.

prima della pioggiaPurtroppo il film, nel corso degli anni ha ricevuto diverse critiche negative, la più famosa è forse quella del filosofo Slavoj Žižek, secondo il quale, Prima della pioggia “offre allo sguardo liberal dell’Occidente esattamente ciò che questo sguardo vuole ritrovare nel conflitto balcanico, lo spettacolo di un atemporale, incomprensibile, mitico ciclo di passioni, in contrasto con la decadente ed anemica vita occidentale”.

Ciò che la critica di Žižek sembra però non tenere in conto è che quello che davvero importa non è se “il mitico ciclo di passioni” sia una proiezione dell’occidente, ma è appunto il concetto cardine della concentricità che non coincide con se stessa: le “cose” che vediamo solitamente relegate “nell’altro”, riguardano anche noi e si diffondono e colpiscono tutti tramite parole, volti e immagini fallaci che crediamo essere assoluti.

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Nelterzo episodio, Manchevski affronta anche il tema scomodo e attualissimo della spettacolarizzazione delle disgrazie e lo fa tramite Aleksandar (Rade Šerbedzija), il fotografo protagonista e il suo senso di colpa dovuto alla sua richiesta di “qualcosa di eccitante” che finisce con il causare l’omicidio di un prigioniero bosniaco da parte di un generale Serbo.

“Ho ucciso con la mia macchina fotografica” ripete Aleksandar e io non ho potuto fare altro che chiedermi con lui se anche le immagini che nutrono i nostri media abbiano un prezzo. L’idea di un’informazione -spettacolo dove conduce l’osservatore-fotografo? Sono domande che ci riguardano piú di tutti oggi e che nessuno ha ancora affrontato con la determinazione necessaria per rispondere.

Le parole stesse dell’autore della citazione che apre il film, Meša Selimović, nel descrivere la sua gente, la gente dei Balcani, possono essere sentite come un cliché occidentale sui popoli mediterranei:

Queste sono persone intelligenti;
Ricevono i casini dall’Est e la bella vita dall’Ovest;
Non hanno mai fretta perché solo la vita si affretta;
Non sono interessati a ciò che li attende dopo domani;
Ciò che deve essere sarà e poco dipende da loro;
Quando stanno insieme si mettono nei guai, per questo non gli piace stare insieme spesso;
Raramente si fidano di qualcuno, ma è facilissimo ingannarli con le belle parole;
Non assomigliano agli eroi, ma non si lasciano spaventare dalle minacce;
Non prestano attenzione a nulla, non si preoccupano di ciò che accade intorno a loro;
E poi dal nulla all’improvviso tutto li interessa, capovolgono tutto e si guardano intorno;
Poi si addormentano di nuovo e non amano ricordare cosa è successo;
Hanno paura del cambiamento perché spesso porta il male;
Si stufano facilmente di un uomo, anche se gli fa del bene;
Gente strana;
Parlano male di te ma ti amano, ti baciano sulla guancia ma ti odiano;
Ridono delle azioni nobili ma le ricordano;
Trascorrono la maggior parte della loro vita nel rancore e nella bontà;
E non sanno quale sia più forte o quando;
Cattivi, buoni, gentili, crudi, incapaci di andare avanti, tempestosi, aperti, nascosti;
Sono tutto questo e tutto il resto;
E, soprattutto, sono miei e io sono loro;
E tutto ciò che sto dicendo; lo sto dicendo di me stesso.

|Meša Selimović

ma sono anche belle, autentiche e potenti, tutto dipende dal punto del cerchio in cui si trova chi le legge perché, come sottolinea bene il finale della poesia, ciò che pensiamo si riferisce quasi sempre a noi stessi.

“Occidente”, “Oriente”, “buono”, “cattivo”, “decadente”, “vincente” sono “parole, volti, immagini” accumulati in una memoria collettiva sfuggente e misteriosa che tentiamo di dominare e ordinare ma dalla quale spesso finiamo per essere sopraffatti e rinchiusi in quella che Friedrich Nietzsche chiamava la “prigione del linguaggio” fatta di parole che non esauriscono il mondo reale eppur ci illudono di descriverlo in modo univoco e veritiero.

Dobbiamo invece ricordarci che le storie che ci raccontiamo “sono nostre” ma spesso “noi” finiamo per appartenere a “loro” e magari – prendendo esempio da il “più saggio degli uomini” Balcani (aka Socrate ♡) –  iniziare a chiederci quali “cose” possono rivelarci le parole sui concetti per le quali le utilizziamo ogni giorno. Per intenderci, cosa possono insegnarci le parole sui concetti astratti per i quali le utilizziamo?

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In conclusione, è scontato come un film così complesso – dal punto di vista narrativo e simbolico – come Prima della pioggia possa prestarsi a letture molto diverse e anche contrastanti tra loro. Addirittura, questa complessità potrebbe far sorgere nello spettatore il dubbio che si tratti di un film “di maniera”, poco comunicativo e che privilegia lo stile al pathos.




Fortunatamente però, se è vero che nella scelta narrativa lo sviluppo dei personaggi viene sacrificato agli intricati giochi temporali, è vero anche che questo è totalmente compensato dall’atmosfera d’arcadia che si respira a pieni polmoni in tutti gli aspri paesaggi che riempiono gli occhi di chi li guarda, una meravigliosa colonna sonora melurgica (composta dalla band macedone Anastasia, conosciuta anche come Apokrifna Realnost) carica di secoli intensi e le anime di tutti popoli che li hanno attraversati e soprattutto dalle cose non dette, le assenze e le mancanze.
Il silenzio – come quello prima della pioggia o del monaco e della ragazzina – è il vero protagonista che, nel suo agire misterioso, sussurra a chi lo ascolta di come la capacità di amare dell’uomo sia forte come è forte la sua capacità di odiare  ma – come scriveva Agostino d’Ippona – serva “più potenza e perfezione nel trarre il bene dal male che nell’impedire al male di essere“. Una forza indicibile che quando si manifesta permette anche lì dove non c’è speranza, la nascita di una bontà uguale e opposta, che con la sua luce ci ricorda di quanto, nonostante tutto, sia bello, bello, bellissimo essere umani.

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“Il tempo non muore. Il cerchio non è rotondo”

“Come, come, whoever you are.
Wanderer, worshiper, lover of leaving.
It doesn’t matter.
Ours is not a caravan of despair.
Come, even if you have broken your vows a thousand times.
Come, yet again, come, come.”

“Vieni, vieni, chiunque tu sia.
Vagabondo, adoratore, amante dell’abbandono.
Non importa.
La nostra non è una carovana di disperazione.
Vieni, anche se hai infranto i tuoi voti mille volte.
Vieni, ancora una volta, vieni, vieni.”

|Rumi


Titolo originale | Pred doždot
Regia | Milcho Manchevski
Anno | 1994
Durata | 113 min

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