Il romanzo dell’anno | Giorgio Biferali
La verità è che siamo tutti ridicoli quando siamo distratti.
Per colpa di una serie più o meno patologicamente grave di motivi che mi riguardano, sono poche le ragioni che possano spingermi a leggere un romanzo che parli d’amore. In assenza di una circostanza momentanea che mi porti verso una facile immedesimazione, quando mi capita tra le mani un romanzo che capisco parlare d’amore, faccio una breve prova: se nelle prime dieci pagine ci sono almeno 3 frasi che avrei voluto dire ma che non ho detto, in circostanze grossomodo analoghe a quelle raccontate nel romanzo, proseguo nella lettura. Così, anche solamente per continuare a farsi del male lungo le duecento pagine restanti.
Con “Il romanzo dell’anno” le cose sono andate un po’ diversamente, nel senso che le frasi che avrei voluto dire ma, almeno in parte, non ho detto sono un po’ più di 3. Si tratta di uno di quei casi, non così comuni, nei quali ho sinceramente pensato che avrei voluto scriverlo io. Ogni parola. A partire dal titolo, sufficientemente provocatorio da non passare inosservato pur mantenendo, a fine lettura, tutte le aspettative che si è preso la responsabilità di suscitare nel lettore, grazie anche ad un plot twist finale degno di tutte quelle storie che, pur nella loro semplicità lineare, proprio non vogliono deluderti. E infatti non ti deludono neanche per un attimo.
Nella prima scena de “Il romanzo dell’anno” siamo testimoni delle immediate conseguenze di un incidente. Niccolò e Livia sono una giovane coppia che, nella notte di capodanno tra il 2015 e il 2016, discutono animatamente inconsapevoli del fatto che quello potrebbe essere il loro ultimo litigio. Ciò che succede subito dopo, infatti, è quel minuto che stravolgerà tutte le carte in tavola e che arriva sempre quando meno ce lo aspettiamo, forse perché il momento in cui siamo disposti a lasciare che tutte le nostre certezze e presenze quotidiane ci sfuggano improvvisamente di mano, in realtà, non esiste. Non si è mai veramente pronti. Quel minuto consiste in Livia che ha un incidente e “Il romanzo dell’anno” che segue il tragico evento è una lunghissima lettera d’amore che Niccolò le scrive in attesa che dal centro traumatologico dove Livia è sotto osservazione, e dove lui si reca spesso a trovarla, arrivino buone notizie.
Ogni frase di Niccolò diventa quindi una freccetta scagliata con attenzione e che raggiunge sempre il centro del bersaglio. Riesce, nella sua semplicità e dolcezza, asciutta, senza sbavature e quindi mai stucchevole, a farti sentire partecipe di una vicenda pur così intima e personale.
Scrivere lettere non è ridicolo, anzi, richiede cura, dedizione, la volontà di passare del tempo alla ricerca delle parole giuste, senza neanche avere la conferma che il messaggio arrivi a destinazione. La lettera di Niccolò è il coraggioso tentativo di voler rendere partecipi del proprio presente anche chi al momento non può esserci e non può sentirci.
Siamo d’improvviso coinvolti in un flusso ininterrotto di ricordi, più o meno felici, di ciò che è stata la loro vita di coppia, di una vasta costellazione di amici con le loro storie peculiari ma, in fondo, terribilmente normali, racconti di una vita familiare confusa e vittima di deficit affettivi, riferimenti pop-nostalgici (“Il romanzo dell’anno” è ricco di situazioni amarcord per chi è nato tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90 e, per dirne uno, era convinto che gli episodi di Sailor Moon fossero liberamente ispirati alla propria vita), l’ossessione per gli elenchi, grandi interrogativi, commuoventi letture di cataloghi Ikea e apparizioni celebri (due su tutte, quella del guru dell’oroscopo, Brezsny, e della tenera rassegnazione di Charlie Brown). Ma Niccolò, oltre ai dettagli più prettamente personali, non esclude Livia anche dai più drammatici fatti di cronaca, come se fossero stati tutti appuntati velocemente su una Moleskine per poi essere ricollocati a fare da macro-sfondo alle vicende personali dei due protagonisti.
“Il romanzo dell’anno” mi sembra essere l’onesto tentativo di fare il punto della situazione nel proprio presente, mentre si cerca di superare l’inevitabile lontananza di chi per noi è veramente importante. Senza dimenticarsi, nel frattempo, di tenere in costante aggiornamento i numerosi appunti di tutto ciò che continua ad accadere, anche aldilà della nostra portata, per non rischiare di rimanere impreparati di fronte ad un possibile ritorno e alla conseguente necessità di azzerare il tempo che si è trascorso stando lontani, riempiendo dunque il vuoto temporale con il proprio denso racconto.
Nel consigliare “Il romanzo dell’anno” e a proposito di nostalgie, il pensiero della non certezza del ritorno allo stato precedente, quando l’unica persona che volevamo era ancora con noi, fa sì che lasci ora la parola al David Aames di Vanilla Sky (sono sicura sia uscito molto altro nel frattempo, ma non ho attualmente superato la mia ossessione nei confronti del cinema dei primi 2000), vero esperto di scelte avventate e “minuti che possono cambiare tutto”, con la certezza consolatoria che non è che sia proprio tutto sotto il nostro controllo, quindi, comunque vada, nessun rimorso: “I see you in another life, when we are both cats”.
Titolo | Il romanzo dell’anno
Autore | Giorgio Biferali
Editote | La Nave di Teseo
Anno | 2019
Pagine | 217