Viaggiare ad alta voce come Fernanda Pivano
Abbiamo un grosso debito con Fernanda Pivano. Grazie alle sue traduzioni, l’Italia ha potuto conoscere pagine bellissime della letteratura straniera, soprattutto americana.
Ogni lettore sa bene quanto il ruolo del traduttore sia importante nel passaggio da una lingua ad un’altra di un testo scritto; possono cambiare intere interpretazioni, evocazioni, ritmi, rime: Fernanda Pivano è stata tra i più grandi della sua professione, ed è nota soprattutto per aver custodito in Italia la letteratura beat, evitando che sgualcisse durante la traversata oceanica.
Una carriera iniziata sotto la guida di Cesare Pavese, la Pivano ha introdotto in Italia autori giganteschi del panorama contemporaneo americano. È lei, nel 1943, la curatrice della prima traduzione italiana dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e sarà sempre grazie al suo contributo se negli anni seguenti verranno definitivamente sdoganati giganti della letteratura come Ernest Hemingway e Francis Scott Fitzgerald. Ancora una volta, troviamo lei dietro all’apertura italiana (non poco sudata) nei confronti di Jack Kerouac, di Allen Ginsberg e di tutti gli esponenti della beat generation.
Con le sue traduzioni, i suoi saggi, le sue critiche, Fernanda Pivano ha dato vita ad operazioni divulgative rivoluzionarie, e rivoluzionarie non solo dal punto di vista letterario, perché aver introdotto in Italia pietre miliari del romanzo americano come On The Road ha indubbiamente apportato una vera e propria rivoluzione nei costumi, almeno in quelli dei giovani degli anni sessanta.
Ma Nanda, come veniva affettuosamente chiamata dai suoi amici (amici come De André, Pavese, Kerouac, Ginsberg ed altri esponenti mondiali della letteratura e della cultura dell’epoca), non era soltanto una traduttrice, una saggista, una scrittrice. Oltre ad essere una donna che ha vissuto al centro del suo tempo, una pacifista ed un’ambientalista ante litteram, è stata una grandissima viaggiatrice, una donna che ha girato in lungo e in largo il pianeta, osservando, scoprendo e, fortunatamente raccontando.
È proprio l’aspetto avventuriero di Fernanda Pivano che quasi si auto-narra in Viaggi ad alta voce 1968/1979 , lasciando emergere uno spirito cosmopolita, curioso, dinamico, di una donna spesso in anticipo rispetto alla propria epoca.
Questo libro esiste perché Fernanda Pivano viaggiava sempre con un registratore su cui incideva cassette e cassette di aneddoti, immagini, impressioni di luoghi e persone che incontrava e scopriva lungo il proprio cammino; lo stile narrativo infatti è snello, veloce, indice di qualcosa che viene raccontato quasi nel momento stesso in cui si sta svolgendo.
È proprio questo il valore aggiunto del libro: Nanda ti prende con sé e ti porta nel punto esatto in cui si trovava in quel giorno e in quell’istante, lasciando che il suo attimo diventi anche il tuo, nonostante siano passati 40-50 anni, perché non solo ti mostra un luogo nel mondo osservato coi suoi occhi, ma te ne regala la visione che c’era in quell’istante e che non tornerà.
Sono quattordici i viaggi selezionati e sbobinati in questo volume: dal Giappone a New York, da Papua al Marocco, dall’India alla Scozia, quella che emerge dai nastri è la vita di una donna attenta, osservatrice, mai turista ma sempre viaggiatrice, in un periodo, quello degli anni ’60 e ’70 in cui il mondo cambiava velocemente e gettava le basi della nostra contemporaneità; si mostrava con un nuovo volto, non sempre migliore, ma assolutamente da scoprire in prima persona.
Un altro aspetto meraviglioso di Viaggi ad alta voce è l’assoluta sincerità con cui viene raccontata ogni storia: non c’è alcuna intenzione da parte della Pivano di stupire il lettore, quindi i racconti sono privi di un qualsivoglia artifizio letterario, probabilmente perché quei nastri accumulati nel corso degli anni non avevano lo scopo di essere pubblicati, avevano solo l’onere di non lasciare indimenticati stralci di vita personale e assetti di paesi che non sarebbero più stati gli stessi in futuro o che non erano mai stati in quel modo prima-.
In sostanza, Fernanda Pivano ci fa capire appieno l’imprescindibilità del dove dal quando e del quando dal dove e ci invoglia a fare lo stesso, a prenderci un biglietto ed andare a cercare delle storie; storie che nascono come nostre, ma che possono impreziosire l’immaginario di chi ne viene a contatto e così facendo, ci si scambia un po’ gli occhi, e si impara a comprendere il prossimo.
Il 18 agosto 2019 ricorreranno dieci anni dalla scomparsa di Fernanda Pivano, parlare di lei, del modo in cui ha vissuto, ha viaggiato, ha scoperto, assume più che mai un significato molto importante. Viaggi ad alta voce ci insegna a non sottrarsi alla conoscenza di qualcosa che ci si pone davanti. Ci insegna a non stare mai fermi, a non aspettare che avvenga qualcosa ma ad andarci a prendere tutto. Ci invita a girare il mondo osservando quanto più possibile per imparare, per scoprire, per condividere, ma soprattutto per rispettarsi gli uni con gli altri.
Fernanda Pivano ha dimostrato di precorrere non solo il suo tempo ma anche il nostro. Abbiamo un grosso debito con lei.
Giulia Marinangeli
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Titolo | Viaggi ad alta voce
Autore | Fernanda Pivano
Casa editrice | Bompiani
Anno | 2017
Pagine | 286