Tre cose diverse dal solito da fare a Roma

Tre cose diverse dal solito da fare a Roma

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Macchine e dei, la Centrale Montemartini.

Metti un sabato a Roma. Metti la voglia di non fare le solite cose. Metti uno di quei cieli che solo Roma, esploso di azzurro e di nuvole bianche. Metti una di quelle luci che sparano i contrasti. Metti che sei in pace con dove ti trovi a vivere, e vuoi restare in quella condizione.

Così punti i piedi sui pedali e le dita sull’ignaro Google Maps, che saggiamente non si arrischia ad inserire l’opzione “bicicletta” per gli utenti della capitale.

Prima tappa: la Centrale Montemartini 

Macchine e dei, uomini e immortali. Un prezioso museo civico nascosto lì, nel trionfo del recupero post industriale, in quelle vie di Roma che si sentono un po’ Shoreditch e un po’ Acton. Un luogo forse unico al mondo.

Nei corridoi della vecchia centrale elettrica Montemartini, infatti, si intrecciano una cospicua collezione di statue che più classiche non si può, con la brutalità dei macchinari della fabbrica. Capitello su turbina, marmo su acciaio. Bianco su grigio metallo. Ordine e morbidezza su caos e clangore. Un vero e proprio azzardo perfettamente riuscito.

E quei vetri opachi che fanno intravedere le ciminiere appena fuori e il profilo del gazometro il lontananza. Se siete appassionati di riconversione post industriale, di recupero degli spazi, di fighetteria varia appoggiata alle ei-furono polverose macchine, siete nel posto giusto. Potreste quasi avere un piccolo brivido lungo la schiena.

Più info: http://www.centralemontemartini.org/

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Centrale Montemartini

Seconda tappa: tra Ostiense e Garbatella senza una meta

Fuori. Gambe in spalla, o in sella alla bici. La Roma che sta evolvendosi tra Ostiense e Garbatella – per i maniaci di cui sopra – è una sorpresa continua. Se il gazometro continua a stagliarsi, intorno alle rovine post industriali nascono e risorgono spazi dal sentore londinese. C’è pure un po’ di Dublino, con una buona dose di fantasia e desiderio di evasione.

Consegna: girare senza meta tra il Cavalcavia Ostiense di ispirazione Calatraviana (si dice?) e il ponte dell’industria. Ferro, ferro e ancora ferro. Scivolare dai palazzoni dell’Ostiense alle case basse e a schiera delle viuzze di Garbatella. Via delle Sette Chiese (one of many). Le piazzette. E ancora case basse, salite e discese. Fiato. Prendere velocità tra i gelsomini che fioriscono in un maggio abbozzato. Annusare l’odore dell’umidità che sale dagli angoli a nord, dove il muschio si è accumulato durante l’inverno. Farsi travolgere dalla leggerezza e dalla leggenda garbata di queste strade.

Fermarsi addocchiando il giardinetto di una taverna di quartiere – Tanto Pe’ Magnà. Sedersi e ordinare uno spaghetto alle vongole veraci accompagnato dal bianco della casa. Ripartire un po’ acciaccati dalla digestione e puntare il manubrio di nuovo verso il centro, risalendo verso la Piramide Cestia.

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Fondazione Alda Fendi – dettagli della ristrutturazione nel quartiere interno

Terza Tappa: la Fondazione Alda Fendi

Con la Piramide a sinistra, scendere viale Aventino senza nemmeno fare lo sforzo di pedalare. E’ una sorta di rito di passaggio quello del mutare dell’architettura della zona Ostiense / Garbatella, per arrivare al palazzone della FAO e alle splendide rovine del Circo Massimo.

La fondazione Alda Fendi è poco più in là. La descrizione è tutta nella banalità delle “cose che proprio non ti aspettavi a Roma di questi tempi”. Ecco. Siamo in zona Foro Boario.

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Un’opera di straordinario mecenatismo. Siamo di fronte a una ristrutturazione complessa e dai budget indubbiamente ampi.

La firma è quella dell’archistar Jean Nouvel, per dire. Il nome dell’opera è Rhinoceros. Rinoceronte. Chiamare un luogo così, crogiolo di arti e bellezze, col nome di una creatura in via d’estinzione è una scelta di coraggio e sapiente ironia. Mia personalissima interpretazione. Fino a poco tempo fa la struttura si presentava come un luogo di una certa fatiscenza, rovina accanto alle rovine vere, destinata all’edilizia popolare.

La fondazione si racchiude più ambienti in uno: lo spazio espositivo per mostre, performance e teatro; le residenze – ovvero degli appartamenti spaziali (potete curiosarli su booking.com); la ristorazione – con due piani di ristorante, caffè e bar. Ma il vero trionfo per gli occhi è la terrazza bar che aggetta su un panorama incredibile.

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La terrazza (straordinaria) della Fondazione Alda Fendi

Tappa bonus (se siete in bici): fuga nel verde, oltre Roma nord

Momento sfogo. Momento fuga. Cuffie e musica a scelta. Via. Dalla fondazione, una volta attraversato il Tevere, scendere fino alla pista ciclabile a livello del fiume. La direzione da prendere è quella contraria alla corrente: la ciclovia più lunga di Roma (non che abbia sto gran numero di rivali, al momento).

Il percorso è un sightseeing a pedali: si passa sotto il cupolone, castel Sant’Angelo, il palazzaccio e su su, fino a Roma nord. Si passa davanti allo Stadio Olimpico e sotto ponte Milvio. Senza farsi fregare dalla momentanea interruzione al ponte, proseguendo sempre a nord la pista riparte e lo spazio urbano si interrompe drasticamente per lasciare spazio a campi e piccoli pascoli. Saxa Rubra, poi Labaro, passando accanto a centri di equitazioni e bestie varie sparse. A destra si stagliano, a un certo punto, i palazzoni di Castel Giubileo. Una foresta urbana che contrasta col verde esagerato d’intorno. 

E anche oggi è di nuovo pace.

Perché Roma lo sente, quando litigate. Lo sa. 

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Una foresta urbana che contrasta col verde esagerato d’intorno.

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