“The Dinosaur Bones”: poesia per chi ha nostalgia del Mesozoico
La cosa positiva della vita adulta è che ti indica sempre nuove strade inaspettate che ti si aprono davanti all’improvviso mentre sei impegnato a fare tutt’altro. 9 su 10 sono strade orrende ma ce n’è sempre 1 che ti commuove e ti sorprende.
Ad esempio, c’è un museo di scienze naturali in cui torno periodicamente perché ci sono gli scheletri dei dinosauri. Ho dei gusti primordiali, mi piacciono le strutture ossee mastodontiche e sono facilmente impressionabile. Solitamente non voglio vedere nient’altro, sono qui solo per i dinosauri perché è vero che le cose ti mancano realmente solo quando ti accorgi che non potrai più riaverle indietro e quindi hai urgenza di un facsimile soddisfacente da contemplare. Ovviamente i proprietari mesozoici di quelle carcasse rubuste e lucidissime li so distinguere a grandi linee e i nomi precisi spesso non me li ricordo però mi ricordo perfettamente come si chiamassero i personaggi del film di Don Bluth che era una specie di Bambi ma con i dinosauri e sì, uno dei motivi per cui non dormo, oltre al fatto che penso spesso ai dinosauri, è che tra i 5 e gli 11 anni ho visto tanti film tristi.
Mentre controllavo in internet gli orari di apertura del museo mi si è spalancato, inaspettatamente come succede sempre con le cose belle, uno dei sentieri luminosi di cui sopra ed è un sentiero che porta a un’isola felice piena di palme da cocco, un venticello caldo ma asciutto e delfini che nuotano all’orizzonte, ne sono sicura. Il sentiero è composto da due parole e al momento ci sto ancora camminando: Paleo-Poetry.
Paleo-Poetry significa che esiste un numero considerevole di poesie sulla paleontologia e sui dinosauri. È da un ventennio che, senza avere ancora capito bene il perché, sospiro davanti a delle impalcature monumentali vissute non so neanche bene quando o dove eppure non avevo mai pensato che sui proprietari di quei grattacieli ossei si potessero scrivere poesie oltre a girare film memorabili dove lo story concept è 96 su 100 l’irascibilità dei T-Rex.
Ne ho lette decine, di quelle poesie, e una delle mie preferite l’ha scritta Carl Sandburg, statunitense premio Pulitzer per la poesia (1951) e per la storia (1959): le ossa dei dinosauri sono impolverate e i granelli di polvere sono le storie che su di loro ci continuiamo a raccontare a vicenda. Se fino a poco fa pensavo che la cosa che mi mancasse di più fosse la prima de Le nozze di Figaro (1 maggio 1786, teatro Burgtheater di Vienna), sono andata indietro di qualche anno e ho capito che la cosa che in realtà mi manca di più sono i dinosauri. Perdonami Mozart ma ho la nostalgia megalomane.
Quando da piccola andavo al museo a vedere gli scheletri dei dinosauri credevo che quelle ossa fossero vere ma non lo sono. Ogni tanto sono triste anche per questo. Mi passa la tristezza quando penso che la teatralità è in parte un inganno ma è sempre meglio che niente, soprattutto posso accettare la teatralità se è gigantesca, acuminata, immobile e al momento non ha fame.
I dinosauri sono delle creature poetiche grazie alle loro irripetibili peculiarità estetiche e comportamentali e al fatto che sono l’esemplificazione di come funzioni alla perfezione la catena alimentare e testimoniano fieramente che l’estinzione ti renda la vera scene-queen del museo un indefinito numero di anni dopo la tua scomparsa definitiva, certo. Ma credo che i dinosauri siano poetici soprattutto grazie alla distanza temporale che ci separa da loro. Trovo poetico il non sapere se la nostra convivenza avesse mai potuto funzionare e, restando costantemente nel dubbio, non mi sento di affermare con certezza l’inevitabilità di un disastro annunciato nonostante, così a occhio, credo di essere grande come la tua tibia. Mi sono fermata a guardarla tante di quelle volte che ho smesso di contarle.
È colpa della nostalgia se continuo ad andare al museo a vedere gli scheletri polverosi e palesemente finti dei dinosauri. La nostalgia distorce ed è un sentimento a ritroso inarrestabile. A volte arriva fino al Mesozoico.
*
The Dinosaur Bones
(Carl Sandburg)
The dinosaur bones are dusted
every day.
The cards tell how old we guess the
dinosaur bones are.
Here a head was seven feet long,
horns with a hell of a ram,
Humping the humps of the Montana
mountains.
The respectable school children
Chatter at the heels of their teacher
who explains.
The tourists and wonder hunters
come with their parasols
And catalogues and arrangements to
do the museum
In an hour or two hours.
The dinosaur bones
are dusted
every day.