La Commedia Umana, Saroyan: cronache dal gruppo di lettura
Ritrovarsi in un gruppo di lettura è un po' come gettare un guanto di sfida a questa modernità di silicio. Lontani dal network si riscopre e discute un classico della letteratura americana, "La Commedia Umana" di W. Saroyan. Vi raccontiamo come è andata...
Il concetto di gruppo di lettura può suonare un po’ datato… Maddai! Nell’iperconnessa età del silicio c’è ancora qualcuno che si ritrova in un luogo FISICO a parlare di LIBRI, magari fatti DI CARTA? Ebbene sì!
Vi dirò di più, c’è chi indica in queste community il futuro della libreria (e dell’editoria) indipendente. Numeri alla mano – 6 italiani su 10 non hanno letto nemmeno 1 libro nell’ultimo anno – vediamo che i lettori sono a tutti gli effetti una minoranza, il che, se vogliamo, dà al gruppo di lettura anche il fascino un po’ “carbonaro” di chi lotta per tenersi stretto qualche bella storia ed una manciata di contenuti culturali.
Ma il sottoscritto è per natura scettico, frenato prevalentemente dal timore di trovarsi in mezzo ad una bagarre intellettuale dove fare bella mostra del proprio acume, oppure di smarrirsi in acritici luoghi comuni (v. alla voce “la lettura ti apre la mente” o “i classici sono sempre i classici”).
… Ciò fino al giorno in cui ho rotto gli indugi: Bologna, Confraternita dell’Uva, gruppo di lettura su “La Commedia Umana” di William Saroyan (Marcos y Marcos).
Oggetto: un classico della letteratura americana sul quale, negli anni, si è depositata non poca polvere; una raccolta di episodi dell’America periferica degli anni ’40 con protagonisti il quattordicenne Homer e il fratellino minore Ulysses.
Più che delineare una trama, questi frammenti narrativi fungono da brevi atti di quello spettacolo teatrale che è il quotidiano, rifratti dall’ingenuità e dalla cieca fiducia nell’uomo tipica dell’infanzia.
La bontà di fondo del libro, delicata ma talvolta zuccherosa, da subito divide la platea. Non a tutti sono andati giù gli episodi alla volemose bene, il tono semplificatore e un po’ buonista o l’irrealismo caricaturale dei personaggi di Saroyan.
A ciò si oppone l’argomento del “patto lettore-scrittore”, quantomai necessario per un’opera come questa; ciò implica che il lettore si renda flessibile, capace di sospendere i propri schemi abituali (e per certi versi il realismo pragmatico dell’adulto) per cercare di concepire quelli dei protagonisti immergendosi così nel loro mondo-palcoscenico in cui la realtà è spesso diluita nel fiabesco. Siglare il patto non solo ci riconcilia con Saroyan, ma può addirittura mettere in discussione il cinismo tanto caro al lettore contemporaneo e totemizzato dalla narrativa odierna: perché dunque non considerare “La Commedia Umana” come una lettura per di variegare il nostro gusto ed espandere una sensibilità incline al “negativo”? Uno spunto che mi porto a casa, sia mai che possa mitigare la mia “cattiveria” Céline- o Henry-Miller-indotta…
Mi sento però di insistere sul ritmo dell’opera che, con poche eccezioni, è sostanzialmente costante, un po’ piatto per il mio gusto. Dalla mia destra arriva un’osservazione semplice quanto fulminante: “(il ritmo) è costante perché in fondo è la stessa quotidianità ad esserlo”.
Eccovi un perfetto esempio di situazione in cui non serve aggiungere altro.
Intanto, all’altro capo del tavolo, si alza una mano per porre, giustamente, l’accento sulla carica drammatica tutt’altro che assente; anzi, come nelle commedie di Chaplin o dei fratelli Marx (paragone adeguatissimo ma che confesso non essere farina del mio sacco), il dramma serpeggia carsico, pronto ad emergere nei picchi narrativi che spezzano la linearità del romanzo. Il substrato drammatico, in Saroyan, è la Guerra, più che mai incombenti sull’America di quegli anni; è la Morte che con le sue incursioni nel quotidiano lascia squarci dell’infanzia del protagonista attraverso i quali filtrano le responsabilità ed il peso della vita adulta.
Emerge un’interessante chiave di lettura per la visione solo all’apparenza edulcorata di Saroyan: un’umanità nell’essenza positiva alle prese con una vita che non sempre lo è. Si tenta così di scagionare l’essere umano dalla colpa per il dolore nel mondo.
“Nel mondo ci sarà sempre dolore. Questo non significa che si debba perdere la speranza. Un uomo vero si sforza di eliminare il dolore del mondo. Un uomo meschino non lo vedrà nemmeno, Tranne che se stesso. (…) ma non è colpa di nessuno, mi sa, perché nessuno ha chiesto di venire al mondo. (…) ciascuno è segnato dalla sua origine dall’esperienza. Escludo che malvagi agiscano di proposito. Sono stati sfortunati, ecco tutto”.
È tra vita e morte, infanzia ed età adulta, commedia e tragedia che si gioca l’opera di Saroyan, particolare per la piccola dimensione dei suoi attori di provincia, eppure universale nel mostrare come la realtà sia, in fondo, un rincorrersi di gioia e dolore, ed è nel sottile equilibrio tra questi opposti che la nostra umanità risiede.
Verbalizzata la seduta, trovandomi ora a rileggere l’articolo, noto con piacere che (a) non sbaglio le doppie, che ha comunque la sua importanza, ma soprattutto che (b) molte delle riflessioni sopra sono de facto scritte a quattro (o più mani) amalgamando spunti personali ad interpretazioni che difficilmente avrei potuto concepire in quanto troppo distanti alla mia sensibilità di giovane maschio urbano.
Proprio qui risiede il grande valore di un gruppo di lettura (no, non mi riferisco al punto “a”), nel momento di condivisione reale in una fase storica in cui il termine ha connotazione perlopiù virtuale e fredda, e nell’esperienza di lettura, ampliata ed arricchita, che ne deriva.
In due parole, leggete La Commedia Umana, meglio ancora se trovate qualcuno con cui parlarne!
Titolo | La commedia Umana
Autore | William Saroyan
Casa Editrice | Marcos y Marcos