The Hourglass Sanatorium, una lettera d’amore di Wojciech Has
“Che è mai quest’epoca geniale e quando fu? Qui siamo costretti a divenire per un istante totalmente esoterici […]. Dobbiamo punteggiare i nostri argomenti con sorrisi ambigui e, come una presa di sale, frantumare sulla punta delle dita la delicata materia delle cose imponderabili. Non è colpa nostra se avremo l’aspetto di quei venditori di tessuti invisibili che mostrano con gesti ricercati la loro merce fasulla.” – Bruno Schulz
–PREMESSA– Ci si può sentire di appartenere a qualcosa di lontano? Si può avere nostalgia di luoghi in cui non si è mai vissuti? Forse sì, se li abbiamo incontrati, sognati e pian piano imparati a conoscere e amare attraverso le piccole cose, come ritornelli di ninna nanne in lingue sconosciute, fantasie, immagini sbiadite e poesie lette appena prima di dormire.
“Come posso spiegarti, mia gioia, stupenda gioia dorata, quanto posso essere tuo con i miei ricordi, le mie poesie, i miei impeti, i miei vortici interiori? Come posso spiegarti che non posso scrivere una parola senza ascoltare come tu la possa pronunciare. […] Perché con te bisogna parlare in modo splendido, come si parla ad esempio alle persone che non ci sono più da tempo…in termini di purezza, splendore e precisione spirituale” – Vladimir Nabokov a Vera Slonim.
O forse no, si tratta solo di un qualche effetto inconscio di quel divenire totalmente esoterici, nel tentativo di parlare di ciò che è altrove e imponderabile. O forse, questo sentire è causato da un qualche legame karmico che non lascia andare la presa o, forse ancora, si tratta più semplicemente di Sehnsucht, la nostalgia di ciò che non è più perché non è ancora. Non lo so.
So solo che non so spiegarmi questo legame con il cinema dell’Est e perché le sue visioni siano spesso presenti nella mia vita senza che io muova un dito per trovarle. Sono sempre loro a trovare me, e a me non resta altro che raccontarvi quando le incontro.
“Perché ho la sensazione di essere già stato qui? Non conosciamo d’altronde già in anticipo tutti i paesaggi che incontreremo nella nostra vita? Può forse accadere qualcosa di totalmente nuovo?”
Ho conosciuto il regista polacco Wojciech Has grazie alla Russia o, meglio ancora, grazie al mio сердечный друг, che mentre era impegnato a fare il bagno e bere водка, parlandomi di dei greci, improbabili zattere sulle rive del fiume Volga e avventure di Huckleberry Finn in chiave sovietica, mi ha consigliato anche questo meraviglioso regista polacco, autore non solo del film di cui ho scelto di parlavi oggi, ma anche di altre delizie come “Il manoscritto trovato a Saragozza” (Rękopis znaleziony w Saragossie) del 1964 o il suo ultimo film, “Le tribolazioni di Balthasar Kober” (Niezwykła podróż Baltazara Kobera) del 1988. Capolavori che rendono Has un vero prestigiatore di sogni e lo collocano di diritto tra i migliori artisti della storia del cinema.
The Hourglass Sanatorium è un adattamento della raccolta di storie “Il sanatorio all’insegna della clessidra” (Santorium pod Klepsydra, 1937) e altri racconti come “Primavera”di Bruno Schulz, il quale, meriterebbe un intero capitolo a parte visto che i suoi inquietanti disegni uniti alla prosa caleidoscopica che lo caratterizza, lo rendono un qualcosa di unico a metà tra Kafka, Carroll e un sorprendente Goya polacco.
The Hourglass Sanatorium racconta l’intricata vicenda di un ragazzo ebreo di nome Józef (interpretato da Jan Nowicki) che decide di fare visita al padre ricoverato in un bizzarro istituto di cura, dove scopriremo subito che il tempo non funziona normalmente: “suo padre è morto; questa morte getta qualche ombra sulla sua esistenza qui… il trucco consiste in questo, retrocedere il tempo. Adesso la morte di suo padre non si è ancora verificata”.
Sono queste le parole con cui il direttore dell’istituto accoglie sia noi spettatori che il protagonista all’interno dell’edificio “magico”. Edificio che sembra rappresentare una sorta di continuum tra vita e morte, dove il tempo è scandito tra i ricordi e i sogni dei personaggi- un “tempo consumato, consumato da altre persone, un tempo malandato pieno di buchi, come un setaccio” – e dove ognuno ha il potere di ripercorrere in maniera illogica la propria esistenza: “noi riattiviamo il tempo trascorso, con tutte le sue possibilità”.
“Fu allora che la rivelazione ebbe luogo: improvvisamente apparve la visione della bellezza ardente del mondo, il messaggio segreto di buone notizie, l’annuncio speciale delle illimitate possibilità di essere” – Bruno Schulz, Primavera.
A mio avviso, The Hourglass Sanatorium incarna perfettamente la visione della bellezza ardente del mondo, in quanto possibilità “dell’essere aperto a tutto ciò che verrà”, configurandosi così come una vera e propria lettera d’amore cinematografica alla storia della Polonia; Cracovia infatti, la città dove Wojciech Has è nato e cresciuto, negli anni in cui è stato realizzato il film, non era altro che l’ombra di se stessa, piena di rovine ed edifici distrutti, proprio come il sanatorio magico protagonista del racconto.
Il film può anche essere visto come un omaggio alla cultura ebraica dell’Europa dell’est, cancellata purtroppo dalla seconda guerra mondiale. Molti degli episodi del film appunto, evocano il simbolismo ebraico e molto altro ancora. È proprio la volontà di trasmetterci tutte queste illimitate possibilità di essere che fanno di The Hourglass Sanatorium una delle più affascinanti ricreazioni della psiche mai realizzata su pellicola.
Se siete interessati a questi argomenti, l’identificazione e l’interpretazione dei molteplici simbolismi contenuti nell’opera, potrebbero alimentare lunghe discussioni e molte notti insonni: è un’opera talmente vasta e inafferrabile che difficilmente si potrà smettere di fare nuove scoperte di senso.
Tra una discussione filosofica e l’altra però, una volta fatte entrare nella propria mente, sarà allo stesso modo difficile liberarsi dalle atmosfere uniche colme di forme e spettri di colore. Impossibile dimenticare i treni, gli strani personaggi di cera, i soldati zombie, le donne nude, le curiose maschere, i rabbini danzanti e persino gli elefanti. Appena dopo aver terminato di vederlo, sono rimasta immobile per qualche minuto come se mi fossi appena svegliata da uno dei miei sogni più strani. Travolta e incantata.
Non mi resta che dirvi che la visione di The Hourglass Sanatorium – non solo è stata una delle esperienze cinematografiche più surreali che abbia mai vissuto – ma con la stessa forza di un requiem dedicato a un mondo intero, ha acceso in me una fiamma della quale conserverò a lungo la luce nel mio cuore… Ma non voglio dire nient’altro: The Hourglass Sanatorium è pura arte visiva e come tale dovete vederlo con i vostri occhi.
“Ci sono cose che non possono accadere completamente, sono troppo grandi per adattarsi a qualsiasi evento, sono meravigliose – per questo cercano solo di accadere“.
Titolo originale | Sanatorium pod klepsydra
Anno | 1973
Durata | 124 min
Regia | Wojciech Has