Pechino | Mortali assonanze: aneddoti semiseri dal Celeste Impero
Nel 2013, quando ero una studentessa di cinese di belle speranze, ho deciso di investire la mia estate a Pechino.
Ora, immaginate una ragazza che più occidentale di così non si può e che fino a quel momento il cinese lo ha visto solo sui libri, approdare nella metropoli. Dopo una serie di variegate avventure, arriva finalmente al quartiere prescelto. È a Pechino, non si è persa, non è stata rapita né derubata né uccisa; una volta entrata nel campus, che immagina come un mondo dorato, sarà tutto in discesa.
Aspettative che saranno soddisfatte, per carità. Sennonché la ragazza in questione, che chiameremo Berne, non ha fatto i conti con due immensi nemici: i caratteri cinesi e il personale di servizio.
A questo punto dovrete perdonare due digressioni, tanto brevi quanto necessarie per afferrare il seguito della storia.
La prima: le fognature sono state inventate dall’impero romano. MAI darlo per scontato. Specialmente quando vi trovate al di fuori dei suoi vecchi confini. In queste terre ostili, inventarsi un sistema che possa smaltire sottoterra le varie schifezze da voi prodotte ogni giorno e che vi preservi da salmonella ed altre amenità è stato reputato superfluo. Molto più semplice appiccicare avvisi in ogni toilette del paese invitando l’utente a riporre i suoi bisogni in un cestino, che verrà svuotato una volta a settimana. Naturalmente, l’occidentale medio guarda con disgusto a questa pratica barbara, decide di fregarsene e di utilizzare il wc secondo lo scopo originario.
La seconda digressione: la lingua cinese è complicata. Limitiamoci a dire che quella cinese è una lingua tonale, e che spesso molte parole suonano praticamente identiche. Un esempio? 死, sǐ, e 四, sì. Quasi uguali; solo che la prima significa “morte”, la seconda “quattro”.
Ah, un’ultima cosa: i cinesi sono superstiziosi. Parecchio superstiziosi.
Torniamo a Berne: passano un paio di settimane, la ragazza fa amicizia e comincia ad amare la città. Peccato per gli standard igienici, ma d’altronde, anche questo fa parte del viaggio. Questo è ciò che si ripete ogni volta che vede il cartello che le intima di non avvicinarsi al wc, ché tanto c’è il cestino. In quest’ultimo caso, Berne si sente anche supponente: che trogloditi, pensano che facendo come faccio io arrivi l’apocalisse.
Finché, un pomeriggio, l’inevitabile: Berne tira lo sciacquone, ma tutto tace.
Giulia, la sua compagna di stanza e di (dis)avventure, prova a fare lo stesso, ma anche con lei non accade nulla. Non resta che avventurarsi ai piani inferiori e raggiungere la reception; dopodiché, un duello da film western.
Ad accogliere alla reception due bidelle, lo sguardo impenetrabile, il portamento fiero.
Berne e Giulia partono speranzose: il bagno non funziona più, ci scappa la pipì e vorremmo farci pure una doccia, vi prego aiutateci.
Le due donne si scambiano uno sguardo eloquente: considerando che fra un paio di settimane ve ne andrete non si tratta di bisogni primari, potete aspettare a farvi una doccia quando sarete tornate in Italia.
Segue un silenzio che si direbbe solido.
Le ragazze insistono, fuori ci sono quaranta gradi, una doccia al giorno è imprescindibile.
Interviene una bidella: potremmo chiamare un idraulico e fargli smontare l’intero impianto del piano incriminato, il terzo. La perplessità persiste.
È a questo punto che Berne sfodera l’artiglieria pesante: ambasciata, università italiana, Farnesina. Sono tutti ansiosi di tutelare il mio diritto ad usare il wc, fareste meglio a venirci incontro.
Le bidelle reputano che Xi Jinping non le farà licenziare e si sciolgono in una risatina.
Per fortuna c’è Giulia: non ci muoviamo dalla reception finché non ci date un bagno degno di questo nome. Ed ecco che le bidelle si preoccupano: avere due ragazze starnazzanti e infuriate parcheggiate lì non deve essere piacevole.
“Una soluzione ci sarebbe, tuttavia…” sussurra una delle due, troppo spaventata per proseguire. Tuttavia: c’è una camera libera, dotata di bagno funzionante e che vi salverà dalle più orride patologie. Solo che è al quarto piano.
“Sì, sì“, sibila la donna: nessun autoctono avrebbe mai accettato di alloggiare a un piano che fa rima con “morte”.
Berne è perplessa, vorrebbe chiedere dove hanno sbagliato nel percorso che li ha portati a negare qualsiasi religione se poi credono a queste fregnacce; ma la prospettiva di un bagno decente è troppo allettante, per cui si limita a dichiarare che sì, è perfetto, a ringraziare e ad avviarsi nella sua nuova reggia. Che è pure più bella della precedente, dato che non ci ha mai abitato nessuno.
Ora sarebbe perfetto raccontarvi una storia dai risvolti horror con fantasmi dagli occhi a mandorla che sbucano dagli armadi: spiacente, niente di tutto ciò. Il resto del soggiorno è proseguito nel migliore dei modi, allietato da lussi quali l’acqua corrente.
Verrà la morte / e sarà a quattro stelle, insomma.
Perlomeno a Pechino.
Francesca Berneri
*Questo articolo è uno dei tre vincitori del contest dell’estate 2018 di SALT Editions*