Si direbbe che davvero le idee vengano ai fiori allo stesso modo in cui vengono a noi

Vi sarà capitato di andare in montagna e sentire il suono del vento tra i pini, un soffio leggero che rilassa e fa stare bene. Anche lo sguardo a quel punto viene richiamato dai rami che ondeggiano e cercano rinfresco. Se a quel punto ci si sofferma un secondo di più, può venire la vertigine. Non è vertigine del vuoto delle altezze. E’ vertigine di percepire che quegli alberi, tutto il bosco, vivono, sono coscienti, hanno una volontà. E’ l’esperienza del Sublime: la stessa che provavano Burke, Wordsworth, Byron, tutti i romantici dell’800. L’albero è la principale fonte del nostro sentimento dell’universo.

“L’intelligenza dei fiori” di Maurice Maeterlinck sconvolge questa visione. La Natura non è più vista come perfezione immacolata, incommensurabile, somma di virtù sovrumane e distanti. Anche lo stile narrativo del libro è molto lontano da quello di freddi manuali botanici, ma racconta le storie di fiori e virgulti come avventure cavalleresche, fiabe magiche. I fiori e gli alberi sono i nostri patriarchi, che da molto più tempo di noi combattono per continuare e moltiplicarsi, sperimentando e sbagliando, continuamente collaudando nuove tecnologie a seconda del mutamento del mondo che li circonda. C’è molto più spirito rivoluzionario in un’orchidea che nella maggior parte degli uomini. Molti esempi nel libro lo testimoniano, ne ho scelti quattro: ecco la storia della salvia, del frumento, dell’erba medica e del lauro.

Durante l’evoluzione i fiori si sono accorti che l’autofecondazione, quella che avviene nello stesso fiore, è molto meno efficace per la continuazione della specie piuttosto che la fecondazione incrociata, tra fiori diversi, grazie agli insetti, agli uccelli e al vento. La maggior parte dei fiori nel corso degli anni si è prodigata in diversi approcci e tecniche per evitare l’ autofecondazione. Ad esempio nel fiore violetto e profumato della salvia, lo stigma, la parte superiore del pistillo, è rinchiuso nel labbro superiore, che forma una sorta di cappuccio e dentro il quale si trovano anche i due stami, gli organi maschili. Per impedire che questi ultimi, con i quali condivide lo stesso letto nuziale a baldacchino, lo fecondino, lo stigma è due volte più lungo, di modo che essi non abbiano la minima speranza di raggiungerlo. Del resto, per evitare qualsiasi incidente, la pianta si è fatta “proterandra”, in lei cioè gli stami maturano prima del pistillo, così che, quando la femmina è pronta a concepire, i maschi sono già spariti. […] Le specie di Salvia sono molto numerose, se ne contano circa cinquecento. Non se ne trova nessuna che non abbia modificato qualche dettaglio del meccanismo appena analizzato.

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Il frumento in origine era una pianta perenne, come l’erba del prato. Rimaneva sempre verde, si moltiplicava attraverso le radici e non aveva né spighe né grani. Quando, dalla sua patria tropicale originaria, ha dovuto acclimatarsi nelle nostre lande ghiacciate, il frumento ha dovuto sconvolgere le sue abitudini e inventarsi un nuovo metodo di moltiplicazione. Sembra che l’organismo della pianta, per un miracolo inconcepibile, abbia presentito la necessità di passare attraverso lo stadio del grano per non morire del tutto durante la stagione fredda (Babinet).

Una varietà di erba medica ripone dentro leggere spirali a tre o quattro spire i suoi semi, contando così di rallentarne la caduta e, di conseguenza, con l’aiuto del vento, di prolungarne il viaggio aereo. La cosa più commovente di questa tecnica è che è del tutto inutile. Avrebbe potuto funzionare solo a condizione che i semi cadessero da una certa altezza. Ma essendo lì, a pelo dell’erba, non fa in tempo a concludere un quarto di giro che già tocca terra. Una varietà differente di queste piantine ha perfezionato il meccanismo rispetto alla rossa, guarnendo il bordo della spirale con una doppia fila di punte, con la chiara intenzione di farla attaccare al momento giusto sia ai vestiti dei passanti che al pelo degli animali. Giacchè il suo fogliame attira le pecore, è inevitabile, oltre che giusto, che queste ultime si assumano il compito di assicurarle una discendenza. Ecco un curioso esempio degli errori, dei tentativi, delle esperienze e dei piccoli disinganni tanto frequenti in natura.

Un altro esempio sono gli alberi che crescono sui pendii rocciosi; un lauro, in particolare. Si riusciva a leggere agevolmente sul suo tronco tormentato e, per così dire, convulso tutto il dramma della sua vita tenace e difficile. Un uccello, o il vento, padroni del suo destino, hanno portato un seme sul fianco di un costone roccioso che scende a picco come una cortina di ferro; l’albero è nato là, 200 m sopra il torrente, inaccessibile e solitario, tra pietre roventi e aride. Il giovane virgulto aveva dovuto, nonostante il peso crescente dei rami, raddrizzare l’originaria curvatura e torcere con ostinazione, radente la roccia, il tronco sconvolto, mantenendo, così, come un nuotatore che rovesci indietro la testa – con una volontà, una tensione, una contrazione incessanti – la pesante corona di foglie ben dritta nell’azzurro del cielo. Anno dopo anno, la volta di fogliame si appesantiva, senza altra preoccupazione che quella di espandersi nella luce e nel calore, mentre un cancro oscuro rodeva il tragico braccio che lo sosteneva nello spazio. Allora, obbedendo a non so quale intimazione dettata dall’istinto, due solide radici, due corde frondose, sono spuntate dal tronco un po’ sotto il punto di curvatura, assicurandolo alla parete di granito. La deformazione per noi uomini è un concetto negativo. Le piante ci insegnano che deformarsi può essere fondamentale per continuare a ricevere la luce del sole e vivere.

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La nostra epoca è estremamente complessa. Siamo spaventati dall’attualità e dal futuro. Ma non siamo soli. Il Genio della terra agisce, nella lotta vitale, esattamente come agirebbe un uomo: tentenna, esita, ricomincia mille volte, aggiunge, elimina, riconosce e corregge i suoi errori. Non sa più di noi dove sta andando: si cerca e si scopre poco a poco. E’ consolante osservare che seguiamo lo stesso percorso che segue l’anima di questo grande mondo, che abbiamo le stesse idee, le stesse speranze, gli stessi ardimenti, e quasi gli stessi sentimenti. Se la natura sapesse tutto, se non si sbagliasse mai, se sempre, in ogni sua impresa, si mostrasse al primo colpo perfetta e infallibile, se rivelasse in ogni cosa un’intelligenza incommensurabilmente superiore alla nostra, ci sarebbe motivo di avere paura e di scoraggiarsi. Invece, le piante e i fiori ci permettono di presumere che lo spirito che emana da ogni cosa, dai torrenti, dalle montagne, dagli alberi, dalle stelle, sia della stessa essenza che anima il nostro corpo. Se ci somiglia come noi gli assomigliamo, se tutto ciò che si ritrova in esso si ritrova in noi stessi, se usa i nostri stessi metodi, le nostre preoccupazioni, le nostre tendenze, il nostro desiderio di migliorare, allora è logico nutrire un’istintiva, invincibile speranza, dal momento che essi sperano allo stesso modo. La prossima volto che sentirò il vento che soffia tra i pini, sarà ancora più emozionante.

 

L’intelligenza dei fiori

Maurice Maeterlinck, 1907

Edizioni Pendragon, 2011

Nota: tutte le scritte in corsivo sono direttamente tratte dal libro.

 

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