Give Me 5 (Spring Edition) | Vol. 113
You can never hold back spring
you can be sure
I will never stop believing
the blushing rose that will climb
spring ahead or fall behind
winter dreams the same dream every time
baby, you can never hold back spring
Così cantava Tom Waits in un bellissimo brano pubblicato qualche anno fa – per i collezionisti fra voi, stava nella tripla raccolta Orphans: Brawlers, Bawlers and Bastards. Quanto aveva ragione: non puoi proprio respingerlo, quel misto di speranza e luce e desiderio che si riaccende ogni anno con la primavera. E oggi proviamo a raccontarvi quell’esatta emozione, con i cori e le chitarre di cinque, straordinarie canzoni pop.
The Bleeding Heart Show | The New Pornographers
Avere vent’anni alla metà degli anni Zero ed essere appassionati di musica e cinema indipendenti prevedeva alcune tappe fondamentali. Per esempio, ascoltavi gli Shins e gli Arcade Fire, Sufjan Stevens e i Wilco; per esempio, andavi a vedere Juno o Se Mi Lasci Ti Cancello tre volte ciascuno, in sala. Un periodo magico in cui pensavi che perfino Zach Braff fosse un grande regista.
E poi c’erano i New Pornographers, vera manna dal cielo: power-pop elettroacustico e melodie perfette, la voce di Neko Case a far da ciliegina sulla torta. Ricordo di essere riuscito a far ascoltare Twin Cinema perfino agli amici dell’università – non proprio degli iniziati dell’indie, ecco – e di averne ottenuto sinceri muggiti d’approvazione. The Bleeding Heart Show era il cuore caldo di quell’album meraviglioso: provate ad ascoltarne il finale senza desiderare di tenere stretta la mano di qualcuno, mentre correte incontro al primo sole della bella stagione.
Dirty Dream Number Two | Belle & Sebastian
It sucks ass. È istantanea e lapidaria – quasi pre-Twitter – la recensione di Barry (ovvero Jack Black) in Alta Fedeltà, nella scena in cui entra nel negozio di dischi e sente Seymour Stein; toglie la cassetta dallo stereo, la butta in un cestino, spara Walking On Sunshine. Eppure quello era un pezzo dolce e bellissimo, che stava in un album altrettanto dolce e bellissimo – The Boy With The Arab Strap – il migliore dei Belle & Sebastian insieme al precedente If You’re Feeling Sinister: due classici di indie-pop intelligente, monumenti al basso profilo e all’autoironia, in un decennio che tendenzialmente suonava ad alto volume. Canzoni che sapevano sempre come farti saltellare, come nell’ostinato crescendo per archi e fiati di Dirty Dream Number Two.
Holland, 1945 | Neutral Milk Hotel
A distanza di vent’anni dall’uscita di In The Aeroplane Over The Sea e anche dopo averlo visto dal vivo due volte – da solo e con la band – Jeff Mangum rimane un mistero indecifrabile. Con i suoi Neutral Milk Hotel, alla fine degli anni Novanta, realizzò due soli album, il secondo dei quali – quello dell’aeroplano, appunto – è considerato da quasi chiunque un classico contemporaneo. Folk-rock dylaniano a bassa fedeltà, attitudine contemporaneamente bandistica e punk, il disco è struggente ed esaltante; minuscolo quando si rannicchia nei bozzetti acustici, enorme quando lascia correre libero il rumore.
Al centro dell’opera, la strepitosa Holland, 1945 – duecento secondi incendiari aperti da una conta svogliata, con tamburi che picchiano come fossimo in un pezzo degli Husker Du; alla base del testo, visionario e zeppo di metafore e immagini crude, il Diario di Anne Frank. Pianto e gioia, una storia e la Storia rivissute in prima persona: tutto in quel ritornello.
but now we must pick up every piece
of the life we used to love
just to keep ourselves
at least enough to carry on
It Happened Today | R.E.M.
Ogni fan dei REM ricorda dove fosse il 21 settembre 2011, quando la band annunciò lo scioglimento – io, quella sera, ero in biblioteca e ancora oggi, quando ci penso, avverto un dolore alla parte sinistra del petto, all’altezza del cuore. Accelerate, tre anni prima, aveva sancito la rinascita dopo il grigiore di Around The Sun: chitarre che squillavano gioiose e chorus subito classici, pezzi da insegnare nelle scuole – Supernatural Superserious, Hollow Man, Until The Day Is Done, Living Well Is The Best Revenge.
Il successore, Collapse Into Now, non era altrettanto brillante ma sapeva difendersi con classe e vantava come sempre più di un colpo da maestri; It Happened Today era uno di questi, acustica e quasi senza parole, con le voci di Michael Stipe e dell’ospite d’eccezione Eddie Vedder a rincorrersi in un finale aperto, arioso. Poi lo scioglimento: inaspettato, ma giusto; colmo di commozione e di grazia. Proprio come i tre decenni di una carriera luminosa; proprio come questa canzone.
Mr.E’s Beautiful Blues | Eels
Ora che sta per uscire il nuovo disco a nome Eels, vien voglia di ripassarlo tutto, il percorso artistico di Mark Oliver Everett (o Mr. E, come preferite). Un percorso non lineare e non canonico, in cui non si può distinguere l’uomo dall’artista, tanto la musica è stata per il nostro una terapia nei momenti più bui. La perdita del padre, il suicidio della sorella e la morte della madre sono il punto di partenza di uno degli album più struggenti della storia del pop, quell’Electro-Shock Blues che è il suono di un uomo di fronte alla morte armato solo di strumenti giocattolo e melodie sepolcrali.
A seguire, Daisies Of The Galaxy: la rinascita, la primavera dopo l’inverno, tutto uno spalancarsi di finestre e scintillanti composizioni pop; e, proprio alla fine, il nostro – obbligato dalla casa discografica – infila la sua canzone più radiofonica di sempre. Su una semplice progressione G-C-D-C, le strofe di Mr.E’s Beautiful Blues infilano una sequenza di piccoli e grandi orrori della vita di tutti i giorni, risolti da un’unica, semplice constatazione: goddamn right, it’s a beautiful day.