Quasi amici

Quasi amici

The Special Need

La prima grande difficoltà nel rapportarsi con la disabilità, qualunque essa sia, risiede nel senso della misura. Mancando solide basi d’esperienza su cui basare il proprio comportamento, si è impacciati, insicuri, impauriti dal poter fare troppo o troppo poco. Il timore di offendere l’altro, il “disabile”, perché gli si offre aiuto, che lui potrebbe scambiare per pietà, oppure perché gli si nega, per la stessa ragione, un aiuto che lui potrebbe ritenere dovuto, spesso paralizza. Ci fa sentire come se stessimo camminando su un terreno instabile, che cede sotto i nostri piedi, dove ogni passo potrebbe essere un errore. E spesso lo è: così bloccati nel rapporto con qualcosa che consideriamo diverso, altro da noi, le possibilità di errore aumentano esponenzialmente. Perché l’altro, che altro da noi non è, percepisce perfettamente questo pensiero per lui fastidioso, se non addirittura doloroso. Più della comprensibile difficoltà nell’azione, ferisce la diffidenza del pensiero, quel credere o esperire il “disabile” come in qualche modo diverso da noi, quando a tutti gli effetti non lo è.

Il protagonista del premiatissimo film Quasi Amici, Philippe deve scegliere un assistente, un assistente domestico, che lo aiuti con tutti i suoi bisogni, dal momento che Philippe si trova costretto su una sedia elettrica, essendo rimasto tetraplegico dopo un incidente. In mezzo a stuoli di impomatati e servizievoli candidati, la scelta del facoltoso “disabile” cade un ragazzo di colore proveniente dalle banlieue parigine, Driss, che si mostra a lui privo di ogni preconcetto, trattandolo da suo pari. Forse proprio questo, mescolato alla vivacità che Driss si porta appresso in una casa tanto grande quanto silenziosa, orienta la scelta di Philippe, osteggiata dai suoi collaboratori. Driss infatti ha un passato ed un presente fatto di sopravvivenza, di sussidi di disoccupazione, di piccoli furti. Vive con una famiglia allargata, in poche stanze, sempre alla ricerca di una maniera per fare soldi facili. Due mondi apparentemente lontanissimi che si incontrano.

Driss impara a gestire i bisogni di Philippe, sempre, però, trattandolo non come diverso ed, anzi, stigmatizzando questa diversità con l’ironia e la presa in giro delle difficoltà del suo datore di lavoro. Dimenticandosi, anche, talvolta dei problemi di Philippe. Senza nessun tipo di pietà. La stessa assenza di pietismo, trasformata in ironia a tratti quasi comica, con cui i registi Olivier Nakache e Éric Toledano dirigono tutto il film. I due protagonisti diventano amici grazie a una serie di situazioni divertenti, quasi di gag (se questo termine non fosse usato quasi esclusivamente per il genere comico), che fanno dimenticare a Philippe i suoi problemi e fanno ridere di cuore lo spettatore. Sia le situazioni, che i dialoghi, speso surreali, tra Driss e gli esponenti di questa agiata borghesia sono francamente spassosi e molto arguti (basti pensare a una battuta su Strauss-Kahn buttata lì, come se niente fosse, da Driss). Si tratta sempre, però, di una risata intelligente, mai sguaiata né sopra le righe, mai volgare. Il film, forse, rappresenta uno dei vertici più alti della commedia impegnata francese, quella commedia che noi italiani non siamo più in grado di fare da molti anni, troppo soffocati da cattivi comici e sceneggiature sciatte. Quasi Amici ha il pregio di una sceneggiatura forte, che lascia pochissimi spazi morti, interpretata da due attori di stampo drammatico, che non mirano (solo) alla risata. Il risultato è sorprendente: si ride alle lacrime, per poi lasciarsi commuovere dal rapporto fra i due protagonisti e dalle scene finali.

Il film è tratto da una storia vera, adattata con poche modifiche allo schermo. Il raro incontro fra due personaggi così diversi e distanti fra di loro è dovuto proprio alla disabilità. Entrambi, alla loro maniera, sono disabili. Philippe è un disabile fisico, pur mantenendo una mente brillante e una vita agiata; Driss è un disabile sociale, che vive ai margini della società, non necessariamente per colpa sua, ma ha un corpo forte e una mente pronta. Entrambi trovano nell’altro il perfetto compagno di viaggio, a cui insegnare e da cui, contemporaneamente imparare. Driss dona a Philippe tutto il suo bagaglio di vita, sempre vissuta veloce, ma col sorriso sul viso. Smuovere la congrega di borghesi compassati e di mezza età in cui viene catapultato, è per il giovane di origine senegalese un piacere, che coinvolge a poco a poco anche Philippe e tutta la casa. Dall’altra parte il facoltoso Philippe insegna al giovane come prendersi cura degli altri e di se stesso ed impara da lui a superare i suoi limiti, non fisici bensì mentali, legati allo stigma della sua condizione. Tornerà ad amare la vita e le persone, trovando anche il conforto di un rapporto con una donna, gioia che si era per anni negato, ritenendo che la sua condizione fisica gli fosse d’ostacolo, che nessuno lo volesse. Due diverse problematicità con la vita si affrontano, da un lato una difficoltà a cambiare un’esistenza impantanata in uno strato sociale basso, con poche vie di fuga che non comprendano criminalità e sotterfugi; dall’altro la difficoltà ad accettare i propri limiti e ad usarli come forze. E questo può comprendere “truccare” il motore della sedia elettrica per farla andare più veloce, farsi beffe dei poliziotti inscenando una crisi per non farsi dare la multa oppure semplicemente riuscire a sedersi al tavolo con una donna, senza imbarazzi.

I due bravissimi (e anche loro premiatissimi) attori riprendono con la loro recitazione questa dicotomia presente in tutto il film. François Cluzet, notissimo attore francese che ha collaborato per molto anni con Chabrol, interpreta un Philippe sobrio e posato, ma con negli occhi un guizzo di vitalità che non aspetta altro che uscire. Fa da contraltare Omar Sy, con un sorriso aperto che coinvolge tutto quanto il suo viso, foriero di senso di libertà, ma anche capace di calarsi in un personaggio dai toni più drammatici. I restanti attori non sono che comprimari di questo duetto improbabile quanto riuscito. I film si ispira a modelli del passato, uno su tutti Scent of a Woman, dove un monumentale Al Pacino interpreta un cieco che impartisce lezioni di vita al suo giovane assistente. La disparità di Al Pacino mentore nei confronti del giovane “apprendista”, però, vieni qui superata per un bilanciamento molto equilibrato dei personaggi, che in egual maniera danno e ricevono, entrambi scevri dal divismo a cui, suo malgrado, è sottoposto un attore come Al Pacino.
Nel finale le vite dei due ormai amici si devono separare, necessariamente entrambi devono tornare al loro mondo. Cambiati e con l’intenzione ferma di cambiare quel mondo di cui erano loro stessi prigionieri. La disabilità è prima di tutto una barriera mentale, per la quale non sono sufficienti rampe e montacarichi. Si può superare e il film ci insegna che la maniera migliore per sperarla è farlo in due. Non solo le difficoltà, ma anche le cose belle della vita vanno affrontate insime. La felicità esiste solo se condivisa.

Alessandro Pigoni

Titolo: Quasi Amici
Regia: Olivier Nakache, Éric Toledano
Anno: 2011
Durata: 112 min
Interpreti: François Cluzet, Omar Sy

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