Ettore Guatelli, il suo museo e la straordinarietà del quotidiano
Chi era Ettore Guatelli? Un semplice maestro elementare, un intellettuale contadino, un accumulatore seriale, un genio, un pazzo o semplicemente uno stracciaio, come diceva la gente di Ozzano Taro?
È la domanda che accompagna chiunque entri nel Podere Bellafoglia, un cascinale adagiato tra le campagne parmensi tra Fornovo e Collecchio, trasformatosi grazie ad anni di raccolta di materiali nel riuscitissimo e sorprendente Museo Guatelli.
Destinato fin da piccolo agli studi a causa della tubercolosi ossea che lo rendeva inadatto al lavoro nei campi, Ettore aveva passato molti anni in sanatorio dove aveva conosciuto e stretto amicizia con Attilio Bertolucci. Diventato maestro elementare, nel dopoguerra, aveva dato inizio a una ricerca di vecchi attrezzi con lo scopo di mostrare con chiarezza ai suoi alunni la forma e la funzione degli oggetti del mondo contadino. Solo più tardi, su sollecitazione di alcuni amici, Ettore aveva trasformato la sua raccolta in una vera esposizione museale.
La quotidianità delle cose che il maestro raccoglieva con la sua Fiat 127 e ammassava nel cortile del podere per poi posizionare nella sua cascina trovava forza nella sua continua sperimentazione espositiva.
L’effetto visivo, entrando nel museo, va al di là di ogni possibile descrizione: gli oggetti sono divisi per tipo e posizionati su ogni singolo centimetro del muro e del soffitto a formare figure geometriche, disegni concentrici, sagome circolari o romboidali. Guatelli sembrava aver paura degli spazi vuoti e solo il pavimento è risparmiato da questo continuo affastellamento di oggetti del passato.
L’ingresso accoglie il visitatore con una composizione di ruote inchiodate sulla navassa, un pianale usato sui carri durante la vendemmia, tutto attorno mestoli, catini, macine.
Poi una tenda fatta con corde di salame e tappi di aranciata si apre su una scala con i muri decorati con orologi a casetta, ferri di cavallo e insegne che portano fino al piano superiore, nella stanza dei giocattoli. Qui giostre ricavate da cassette di legno, bambole di pannocchie, macchinine di fil di ferro e oggetti di uso quotidiano, uniti insieme per riprodurre le camionette dei tedeschi e le loro luci che illuminavano all’improvviso il buio delle campagne parmensi.
Una nuova porta si apre sul grande granaio della cascina e qui si compie il miracolo: l’intera grande sala è ricoperta da un ghirigori di falci, attrezzi agricoli disposti ovunque, su un muro i martelli vanno addirittura a riprodurre la sagoma curvilinea del porticato del podere Bellafoglia. Dal soffitto pendono attrezzi per pulire il camino ed altra misteriosa chincaglieria. A terra sono appoggiati girelli, gramole per canapa e pane, telai, mantici e vetrine contenenti le descrizioni dello stesso Guatelli, che andò più volte negli anni ‘90 al Maurizio Costanzo Show per dare notorietà al suo museo e per sottoporre ai telespettatori domande su alcuni pezzi della sua smisurata collezione, di cui non conosceva la funzione.
Altre due porte si aprono, una su una cucina popolata di taglieri, pentole, un testo per i testaroli e tanti mobili e credenze, il tutto verniciato di celeste come era uso fare nelle case contadine per tenere lontane le mosche. La seconda porta si apre sullo strano mondo degli scimmiai e orsanti, artisti di strada che viaggiavano per le campagne portando nei cortili spettacoli fatti con scimmie e orsi. L’ultimo orsante del parmense donò proprio a Guatelli tutta la sua collezione di abiti e di attrezzi legati ad un mestiere poi sparito e sostituito dagli spettacoli circensi. Le restanti pareti sono decorate a raggiera con scarpe rattoppate e allungate in base alla crescita dei bambini, zoccoli distrutti, forme per calzolai, calze con mille rammendi e molte sedie, una addirittura con la seduta in pietra.
Ad un recente inventario dell’Università di Parma si conta che gli oggetti raccolti da Guatelli siano circa 60000. Ai pezzi disposti con cura maniacale nella cascina vanno aggiunti tutti quelli rimasti ammassati nel cortile e ora chiusi in vari container e l’immensa mole di materiale conservato nella piccola casa del maestro, a fianco del museo.
L’appartamento, il cosiddetto bosco di cose, senza campanello e con un videocitofono fatto di specchi posizionati alla finestra, era per Ettore una sorta di appendice del museo, una serie di stanze tematiche, tra cui quella della musica, popolata di chitarre, liuti, ghironde e una piva del 1400, il pezzo più antico di tutta la collezione. In un angolo della sala un intero stock di abiti donati da una costumista del Teatro Regio di Parma, un vero tesoro di sartoria teatrale. Seguono stanzoni pieni di vasetti riempiti di oggetti tra loro affini, la stanza da letto di Ettore, tappezzata di insegne e con una parete interamente ricoperta di sveglie e, a concludere il viaggio nel mondo dell’ovvio, una mansarda piena zeppa di latte e lattine di mille colori, impilate dal pavimento al soffitto.
Se ancora non credete andate a vedere coi vostri occhi, quanto è straordinario il quotidiano!