Black Sails | di come la pirateria incontrò Lenin e la rivoluzione
Anno: 2014-2017 | Numero di episodi: 38 | Durata: 49-65 minuti (episodio)
Fino a 16 anni – diciamo anche 17 – da grande avrei voluto fare il pirata. In genere molti ragazzi attraversano questa fase per poi abbandonarla intorno agli 8-9 anni; io no. Io ho amici che ancora rispondono se li chiamo “marinai” il ché – oltre a sottendere un apprezzabile livello di assecondamento da parte dei miei compagni – suggerisce anche come la saga di Jack Sparrow abbia costituito buona parte del mio bagaglio socio-culturale in adolescenza.
Fare il pirata è bello, porta con sé una caterva di roba interessante: indipendenza, nomadismo ed esotismo, brigantaggio e socialismo, sensualità, decadentismo e barocchismo, scimmie come animali da compagnia…tutte cose che ho sempre perseguito ed anelato (sì lo so che la storiografia ha scaricato questa visione della faccenda, ma penso anche che la realtà possa farsi i fatti suoi ogni tanto).
Purtroppo è un genere che non ha mai goduto di molta fortuna sullo schermo – con l’ovvia eccezione della sopracitata trilogia di Gore Verbinski.
Capirete dunque che quando nel 2013 iniziò a girare voce di una serie sui pirati prodotta da Michael Bay (MICHAEL BAY!!!) scesi in cambusa a prendere la bottiglia buona di rum.
Black Sails inizia quasi come un caper-movie: la pianificazione di un abbordaggio per saccheggiare il tesoro trasportato da un galeone spagnolo ad opera del tenebroso Capitano Flint, leader dei pirati di Nassau.
Flint? Quello de L’isola del tesoro di Robert Stevenson? Già, la serie si pone astutamente a cavallo tra realtà e finzione andando a far interagire i protagonisti del romanzo con figure realmente esistite e fungendo quindi da prequel storicamente contestualizzato raccontandoci la storia di Long John Silver, la sua relazione col capitano Flint e di come la vita offra anche altro oltre a falò sulla spiaggia e esuberante sfarzo.
Diciamolo subito: la prima stagione c’entra poco o niente con le seguenti tre. Dove la prima vuole essere la copia coi soldi di Spartacus o I Borgia (intrighi, sesso, violenza, sesso, sesso) e adescare il pubblico con uomini e donne – in diverse combinazioni e proporzioni – che prima s’accoppiano e poi s’ammazzano, le altre tre si assestano su toni sempre più vicini alle tematiche politiche di anarchia, utopismo e sedizione lasciandosi completamente alle spalle le facili attrazioni delle prime puntate.
Quindi se non soddisfatti dai piaceri offerti avete già abbandonato la nave, tornate a bordo. Ce n’è per tutti.
Foraggiata dai soldoni di Re Bay, la serie ostenta alcune delle più belle scenografie e ambientazioni mai vista sul piccolo schermo. Scenari mozzafiato, luminosi e paradisiaci, uniti ad una fotografia sublime e a buona CGI, ci portano lì, ci fanno sentire il caldo, gli schizzi d’acqua e il vento tra i capelli mentre i galeoni sfilano sull’oceano con innato grandeur e gli scontri navali trasudano afflato epico.
Ma con circa una decina di protagonisti, Black Sails resta soprattutto una serie di personaggi, una serie corale come lo sono Lost, Sons of Anarchy e tutte quelle altre serie tv ascrivibili alla categoria “capolavori”. Non sto usando la parola con la C per Black Sails, ma voglio dire che il vero punto di forza per una serie secondo me devono essere i personaggi: essendo il viaggio più lungo che in un film, la compagnia diventa più determinante della destinazione.
Di nuovo, se nella prima stagione l’approfondimento caratteriale è abbastanza limitato e tutti sembrano quasi ricalcare degli stereotipi del genere (Flint il carismatico, Silver l’astuto, Eleanor la femme fatale ecc.), dalla seconda in poi ognuno di loro ha un’evoluzione e un approfondimento non da poco.
Charles Vane ad esempio, da scialbo antagonista iniziale arriva a personificare il lato più selvaggio, romantico e indomito della pirateria concedendoci alcune delle scene più potenti della serie, mentre Edward “Barbanera” Teach – figura semileggendaria che tutti associamo alla fine dell’era piratesca – arriva sulla scena quasi di soppiatto per poi lasciarla con una conclusione che mi ha fatto uscire di casa per andare a prendere a pugni il primo ufficiale governativo che si trovava a passare.
Tantissime anche le donne e, cosa rara, non caratterizzate solamente dal loro essere donne. Meriterebbe un discorso a parte il trattamento della figura femminile nella società sessuofoba odierna ma qui a SALT siamo lungimiranti e già lo si fece in merito a uno dei film più belli ed importanti del decennio.
Il vero motore di tutto è comunque il rapporto tra il Capitano Flint e Long John Silver.
Il primo, interpretato da Toby Stephens, è un nuovo Capitano Nemo, un esule che ha deciso di dichiarare guerra al mondo dopo che da questo era stato tradito. A differenza dell’eroe di Verne però, Flint deciderà di tramutare la sua personale crociata in una vera rivoluzione collettiva che possa portare gloria e giustizia a tutti gli oppressi. Almeno a sentire la sua versione.
Se infatti la sua rivoluzione sia davvero ciò di cui gli oppressi necessitino o sia solo il tentativo di una persona distrutta di nobilitare il suo desiderio di morte è una delle grandi questioni di questa serie e in generale della Storia.
John Silver, a cui presta il volto Luke Arnold, rappresenta l’altra campana di questa rivolta. Il sedicente cuoco ha una visione diversa della rivoluzione; non perché non la condivida a livello teorico ma semplicemente perché, a differenza di Flint, ha ancora qualcosa per cui vivere e coerentemente col suo personaggio sceglie sempre e solo di anteporre il suo tornaconto al bene comune.
Flint e Silver sono due facce della stessa medaglia. Uno esiste perché c’è l’altro e tuttavia sono destinati allo scontro perché sì, la medaglia ha due facce ma è anche vero che di queste sarà possibile vederne sempre e solo una, mentre l’altra sarà coperta e poi obliata.
Insomma, Black Sails ripete in chiave più matura il miracolo già compiuto da Jack Sparrow: far diventare una spensierata avventura partita all’insegna di rum, palme e corpi sensuali– che comunque restano aspetti imprescindibili nella vita di ogni bravo corsaro – la più romantica delle risposte al potere.
È la meraviglia della pirateria: si va per i mojito, si resta per la rivoluzione.