Lady Bird ci piace perché siamo noi

Lady Bird ci piace perché siamo noi

La provincia, quella brutta

Acclamato da critica e pubblico, Lady Bird è l’esordio alla regia di Greta Gerwig, pluricandidato all’Oscar (come quota rosa). Ormai abbiamo imparato a conoscere la Gerwig come sceneggiatrice, direttamente dall’indie al maistream in pochissimi anni, nei quali l’indie è diventato mainstream.

Questa volta dietro la macchina da presa, la regista realizza un film di formazione adolescenziale, con tutti i topoi del coming of age, ma la Gerwig riesce a destreggiarsi fra autobiografia e racconto documentaristico con sorprendente abilità, senza cadere mai in facili patetismi. E soprattutto racconta un tempo che è il nostro tempo, quello che prelude alla nostra generazione. Catherine è una ragazza di Sacramento, che si sente diversa dagli altri, stretta nella sua città di provincia (e Sacramento è tipo la bassa Padana della California), tanto da farsi chiamare Lady Bird per dimostrarsi “alternativa”. Anche Greta Gerwig è di Sacramento. E in fondo anche noi. Veniamo da quella provincia brutta e stretta in cui non ci siamo mai riconosciuti e dalla quale abbiamo sempre voluto scappare (vi vedo, voi che leggete coi genitori che ancora abitano nell’Oltrepò o nella Brianza Nera). Lady Bird sente di dover scappare, anche dalla sua classica famiglia allargata, e punta ai college della East Coast e a trasferirsi a New York. Esattamente come noi che siamo migrati in massa a Milano e Roma (ma vale anche per quelli che sono tuttora fermi sul GRA per il traffico). Sente di essere diversa, e quindi cerca di accompagnarsi alle compagnie giuste, quelle alternative, che leggono filosofia e fumano erba perché il mondo è un posto orribile e noi siamo atarassici. Eppure Catherine non è particolarmente bella o brillante, a scuola tira a campare, è intelligente senza grande applicazione, non è portata per qualcosa in particolare. Invece che la filosofia, le interessa andare al ballo della scuola ed un vestito forse troppo rosa.

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E allora cosa la rende speciale? Niente. Proprio questo realismo rende il film riuscito. Lady Bird non è speciale, ma si sente tale. È il prototipo dei millennials, ai quali tutti noi apparteniamo. L’ultima parte del fillm, infatti, è quella più programmatica, per quanto ne riguarda il senso. Lady Bird arriva a NYC e realizza che tutti sono ugualmente speciali (o si sentono tali), proprio come lei. Catherine, senza più bisogno di Lady Bird, se ne rende conto e forse rimpiange un po’ la provincia tanto vilipesa. Non è il crollo delle aspettative, ma la sua rimodulazione.

Non ci sono grandi crisi, solo le normali crisi dell’adolescenza e della prima maturità. A differenza di altri film simili, la storia non si dilunga sui patetismi della giovane adolescente, ma ne segue le piccole vicissitudini quotidiane con fare quasi documentaristico. Le prime esperienze amorose, ma senza crolli emotivi; le discussioni in famiglia, i diverbi con la madre e con le amiche. E al centro c’è la crescita, interpretata ottimamente da Saoirse Ronan, imperfetta come noi. Al suo fianco, una strepitosa Laurie Metcalf, nei panni della madre nevrotica della protagonista.

Il film non è perfetto, anzi. Ma rappresenta la giusta distanza per osservare un periodo spesso abusato come l’adolescenza, ricordandoci che è normale attraversarlo ed anche superarlo.

Voto: 7

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