Jack Parsons preferisce i crateri lunari alla vita in città
Sul lato oscuro della luna – nel caso vi capitasse di farci un salto un giorno o l’altro – ci troverete un cratere che si chiama Parsons perché Jack Parsons voleva andare sulla luna e personalmente non ho mai creduto che questo fosse un desiderio troppo pretenzioso e neanche sua madre lo pensava. Ognuno ha le sue fisse, non c’è niente di male.
Jack Parsons è parecchio in confidenza forse non con il suo compagno di banco del liceo, direi proprio di no, ma sicuramente con la luna sì, lei ha un posto specialissimo nei suoi pensieri, non c’è dubbio.
De la Terre à la Lune, tutto merito di Jules Verne e, subito dopo, delle decine di racconti raccolti nelle esplosive riviste pulp (se non trovate che le copertine vintage delle riviste pulp degli anni ’30-’40 siano l’evidente testimonianza che il gusto estetico degli umani sia una più che palese manifestazione della presenza terrena del divino dichiaro che non possiamo essere amici mi dispiace).
La sua collana preferita è ovviamente Astounding Science-Fiction, i pionieri della fantascienza fanno i primi passi e sembrano già andare molto-molto lontano. Saranno anche malloppi di carta riciclata tenuti insieme dallo stick Pritt ma gli fanno fare un sacco di viaggi interplanetari seduto comodamente sulla sua seggiolina scricchiolante in quella specie di caverna antigenica che è camera sua. Non credo potesse chiedere di meglio.
Jack Parsons tra un last minute sulla luna e l’altro si dà da fare e diventa uno dei fondatori del Jet Propulsion Laboratory del California Institute of Technology a Pasadena insomma si è fatto grande e ora è un po’ il papà della NASA non so se mi spiego. Le fantasticherie lunari adolescenziali si concretizzano alla grandissima e ora non ci sono più scuse per non intraprendere – partendo dalle primissime basi rudimentali – le tanto ambite esplorazioni spaziali.
Ora all’improvviso non so perché ma sento qualcosa come una disgrazia che sta per avvicinarsi fra 3, 2, 1…
Jack Parsons crea il combustibile solido per i missili e ama gli esplosivi quelli potenti ma qualcosa un giorno nel suo laboratorio va disastrosamente – eccola, è arrivata – e c’è un boato tremento e il corpo i Parsons esplode, letteralmente. Incidente? E chi lo sa, figurarsi.
La polizia indaga e le risposte che cerca non le trova ma la serendipity si mette in mezzo e fa trovare in casa di Parsons una scatola nera che sembra un po’ il vaso di Pandora ma in versione creepy e immediatamente viene aperto, ovviamente, e quello che ne esce è come una seconda esplosione e l’eco credo si possa sentire ancora.
L’eco dice che Jack Parsons era uno scienziato che scriveva poesie.
Scrivere poesie e sognare di gettarsi in orbita probabilmente sono due esigenze affini, verrebbe da pensare.
I height Don Quixote, I live on Peyote è il bisogno di trasfigurare gli elementi della città in una fantasia che sia più rassicurante: Each wagon a dragon, each beer mug a flagon that brims with ambrosial wine – The mountains are palaces.
È il manifesto di un ritiro in un luogo altro rispetto alla città e ai suoi ovvi e allo stesso tempo incomprensibili obblighi sociali. Svegliati e fa quello che davvero desideri (il che non è da intendersi come una maleducata alzata di spalle verso il mondo e tanti saluti ma un incentivo a seguire le proprie vere pulsioni, più che altro, un consiglio quindi molto ragionevole).
Ma aspetta un attimo scusa colpo di scena c’è questo trio formidabile, L. Ron Hubbard, Aleister Crowley e Jack Parsons, e leggo ora nelle note a fondo pagina quelle scritte in piccolissimo che per tenersi impegnato abbia creato un progetto intitolato Babalon Working e l’intento di queste movimentate – perlomeno dalla sede ombelicale in giù – riunioni serali lisergiche fosse principalmente il concepimento dell’Anticristo o quantomeno di qualche suo parente stretto insomma ho sentito un fastidioso brividino nel midollo e non sono stata lì ad approfondire troppo ma credo comunque di poter chiudere un occhio perché dai ragazzi Parsons a mio avviso è un tipo sveglio e soprattutto mi è trooooppo simpatico e alla fine nessuno è perfetto e chi è senza peccato etc.
Mi sembra di risentire sempre Jack l’anticristo della propulsione a getto che continua a ripetere che il vento il cielo la luna tutte le stelle e tutti i pianeti siano completamente nostri ma io sinceramente quando li guardo dopo pochi minuti mi distraggo perché ancora non so bene cosa pensare.
*
I height Don Quixote, I live on Peyote
I height Don Quixote, I live on Peyote,
marihuana, morphine and cocaine.
I never knew sadness but only a madness
that burns at the heart and the brain,
I see each charwoman ecstatic, inhuman,
angelic, demonic, divine,
Each wagon a dragon, each beer mug a flagon
that brims with ambrosial wine.
I went to the city and found it a pity
the devil was playing at hell,
And ten million mortals had entered hell’s portals
and thought they were all doing well.
I said: “See, dear people, on every church steeple an imp of the devil at play,
See ghouls cut their capers in daily newspapers
and fiends in police courts hold sway;
The mountains are palaces, women are chalices
meant to be supped and not sold,
The desert a banquet hall set for a festival,
ripe for the free and the bold;
The wind and the sky are ours, heaven and all its stars,
waken, and do what you will;
Break with this demon spawn’d hel-inspired nightmare
bond-Magick lies over the hill.”
They said I was crazy, ambiguous, lazy,
disgusting, fantastic, obscene;
So I hied for my sagebrush and cactus and corn mush,
To see if the air was still clean.
Oh, I height Don Quixote, I live on Peyote,
marihuana, morphine and cocaine,
And may I be twice damned for a bank-clerk or store hand
if I visit the city again.