Il Natale è una strettoia.
“Mi ha detto ora il sergente che a Natale non andrò a casa. […] anche altri volevano andare in licenza a Natale e l’avevano promesso ai loro cari ma non potevano mantenere la promessa. Non era colpa sua , se non si poteva andare. Ci dovevamo accontentare di essere ancora in vita, ha detto il capo-furiere, e che del resto il lungo viaggio nel freddo inverno non sarebbe stato molto piacevole. Cara Maria, non devi tenermi il broncio, se non vengo in licenza. Penso spesso alla nostra casa ed alla nostra piccola Luise. Mi domando se sarà già capace di ridere. Avete trovato un bell’albero di Natale? Anche a noi dovrebbero darne uno, se non ci fanno sloggiare prima. Non ti voglio scrivere molte cose di qui, se no ti metti a piangere.”
Questa è una delle “Ultime lettere da Stalingrado”, lettere che furono scritte nel Dicembre 1942 da soldati tedeschi assediati nella sacca di Stalingrado e partirono con l’ultimo aereo per la Germania. Non arrivarono mai alle famiglie: Hitler le fece sequestrare dalla censura militare per un sondaggio sul morale delle truppe.
E’ stato Vinicio Capossela a consigliarci questa lettura, tra una canzone e l’altra, durante un concerto. La guerra è l’errore umano più grande. E Capossela è affascinato dall’errore, la condanna inevitabile dell’uomo, assolutamente legata alla sua natura. L’errore fa soffrire l’uomo, l’errore non è accettato dall’uomo, ma, alla fine, diventa il motore del suo agire, diventa il motivo del suo cercare. Errare in questo mondo porta a errare per il mondo.
Gli errori, i limiti e le solitudini scendono a Natale insieme alla neve a raffreddarci le parole, a farci ammalare di nostalgia, a chiuderci in noi stessi. Al concerto, Capossela ci ha consegnato il suo ultimo libro, pubblicato quest’anno in edizione ridotta (999 copie), “I cerini di Santo Nicola”, sul Natale.
“Che è Natale, la strettoia da dove l’anno deve passare… e per quella stretta tutti i fantasmi si danno l’appuntamento… masciare… pumminali… e le malebestie… quando le ombre si allungano la notte… che di notte si è più soli che di giorno, e cala l’oscurità dell’inverno, che d’inverno si è più soli che d’estate… e a Natale, che alla fine si è più soli di tutti.”
Sante Nicola è il santo che protegge le vittime dei propri errori. E a Natale ce n’è bisogno più che in tutto il resto dell’anno. Il Natale è una strettoia, ognuno è messo davanti a sé stesso e alle solitudini del mondo. Le contraddizioni, le pigrizie, le schiavitù. A Natale vai al cenone con te stesso, in una intimità tutta particolare.
Durante l’avvento attendiamo, ci riempiamo di domande. Avvento è spazio vuoto per l’attesa in un mondo dove tutto è subito, la cura paziente della domanda in un mondo che chiede solo risposte.
A compimento dell’avvento, quando ci aspettiamo di avere finalmente le risposte, arriva il Natale, la festa dell’errore, e ci spiazza. Il Natale è l’Incommensurabile che sceglie la forma finita, limitata. L’Onnipotente che decide di incarnarsi e limitarsi. Uno di noi. L’uomo stesso è un errore, una distrazione di Dio. Dis-trazione: come uomini siamo tratti-fuori dal flusso divino che scorre. Il Natale è la festa dell’errore, del limite, per questo.
Se pure Dio si fida di ogni uomo, dal soldato al generale, dal chierichetto a Hitler, tanto da essere bambino nelle loro mani e dipendere da loro e dai loro errori, lo possiamo fare anche noi. La nostra vita è stretta e problematica, la gente intorno a noi ci delude, ma vogliamoci bene e fidiamoci, l’Amore è una tazza che si è crepata.
Se pure Dio inciampa nella forma umana e sa esaltare i limiti dell’uomo, lo possiamo fare anche noi. L’albero di Natale non è quello pieno di luci e brillantini, ma è l’albero di fianco alla statale, che ha deciso di crescere e di fiorire lì dov’è nato, a tenere compagnia agli automobilisti.
Viva Natale, la festa dell’errore.
Un grazie alla Grazia ciecata,
noi ciucchi di gioia mangiamo.
Il Cielo di noi s’è fidato,
di polvere e vino che siamo.
Il limite i volti disegna,
non schiaccia, ma dà ispirazione:
di cosa la vita è più degna,
la fuga oppur l’adesione?
Ma noi non vogliamo fidarci,
ci piace chiamarla utopia;
un po’ troppo fondo per sporci,
pensabile solo in poesia.
E’ la libertà a spaventarci,
signora che sei fantasia.