Beati come rane su una foglia di ninfea | Tom Robbins
Una cosa che hanno in comune tutti gli stati totalitari è l’assenza della classe media e una cosa che hanno in comune tutte le regioni aride del mondo (che siano così a causa dell’inquinamento industriale o delle forze della natura) è l’assenza delle rane.
(‘Tibetan Peach Pie’, Tom Robbins)
Ci sono mattine pessime durante le quali, nonostante la tua inclinazione totalmente assente nei confronti della sperimentazione scientifica e/o osservazione fenomenologica dei fatti, sei il primo testimone prescelto della giornata del seguente inamovibile e fastidiosissimo fenomeno: se la sottilissima fetta rettangolare di pane di segale geometricamente cosparsa (l’horror vacui maniacale è il tuo forte, da sempre) da un altrettanto sottilissimo strato di marmellata ai mirtilli bio, ti cade – e questa mattina ti è caduta eccome, non saremmo qui, altrimenti – cadrà dalla parte della marmellata ai mirtilli bio lasciandoti come memento mori una sanguinolenta e informe macchia sulla tovaglietta americana Optical 43,5×28,5 cm in PVC.
Basta un minimo accenno di pareidolia (uno di quei traballamenti del cervello che tutti sperimentiamo e ai quali wikipedia dà nomi strani) e la macchia guardandola diventa uno spiritello color bordeaux fegato d’oca allo zucchero d’uva che con il suo detestabile ghigno soddisfatto ti ricorda l’esistenza di cose spiacevolissime che per colpa della forza di gravità proprio non puoi evitare, neanche se ti svegli con le migliori intenzioni appoggiando cautamente a terra il piede esatto – quello senza formicolio diffuso.
Da un inizio infausto come questo puoi cercare di uscirne vivo in due modi:
1) cercare rassicurazione buttandoti sulla consultazione attenta dell’oroscopo sulla – tristissima e unta di crema mani rosa frappè della coinquilina – rivista da sala d’attesa medica più vicina a te, in termini di spazio-tempo;
2) dare una sonora e rassegnata scrollata di spalle all’infausto inizio con notevole noncuranza, voltarsi dall’altra parte e cominciare a leggere un libro di Tom Robbins.
E anche per oggi con la forza di gravità abbiamo decisamente chiuso.
“Beati come rane su una foglia di ninfea”: si può non leggere un libro con un titolo così? Io non ce la faccio, scusate.
«Questo è il giorno peggiore della tua vita», dici, mentre lasci cadere una nocciolina salata nel tuo Martini doppio – in giorni migliori, bevi vino bianco – e la guardi andare a fondo. Scende a spirale più lentamente, con tanto più garbo delle tue fortune personali, le graziose bollicine di gin che si raccolgono intorno alla nocciolina in netto contrasto con i groppi, le lappole e le spine che si stanno attaccando al tuo cuore.
L’incipit è perfetto, partiamo in seconda persona e il tu sei proprio tu che leggi – tu adorabile narcisista che speri sempre di essere, prima o poi, qualcun altro – e che hai iniziato malissimo la giornata.
Questo TU ti fa immediatamente entrare nella teca dorata chiusa a chiave che è la testa della protagonista e bastano una ventina di pagine per cominciare a urlare e dare sonori pugni e calci alle pareti supplicando quello scrittore pericolosissimo che è Tom Robbins di farti uscire di lì ma lui – quel romanticone allucinato – sta riascoltando in loop da tre ore e mezza abbondanti I’ve Got You Under My Skin a palla e non ti sente quindi per rilassarti cominci a schiaffeggiare la protagonista che in realtà ora sei tu quindi cominci a schiaffeggiare rumorosamente te stesso ma sei convinto che la situazione tornerà presto sotto il tuo controllo perché da qui in avanti può solo migliorare, in teoria.
Dev’essere perché il mercato ha avuto un crollo, dici a te stessa, che a quanto pare ho perso ogni pudore.
Metà anni ’90. Sono le ore 16 e per la broker di Seattle Gwendolyn Mati – ambiziosa da qui all’Orsa Maggiore e lunatica uguale – questa giornata entra di diritto al vertice della top-ten delle giornate schifosissime. La borsa (si intende quella finanziaria) le è crollata vertiginosamente addosso scoppiando come una bolla di sapone appiccicaticcia e ci sono i clienti sull’orlo del baratro e le rate della Porsche ancora da pagare. Non si mette per niente bene, il panico da broker con la coscienza nerissima esplode dando il via a un bollente conto alla rovescia.
Questo è il quadro iniziale, ma i romanzi di Tom Robbins non vanno dalla A alla Z. I romanzi di Tom Robbins sono test di Rorschach – ognuno ci legge quello che ci legge – crociere transatlantiche che ti imbarcano a Genova e ti sbarcano a Samanà, ma da lì la strada di casa poi te la devi cercare da solo, se proprio vuoi tornare indietro.
Il crollo finanziario – profetico crollo dell’economia moderna – fa da corollario a una vita, quella di Gwendolyn, condivisa con un fidanzato luterano con l’indole spiccata per la filantropia e proprietario di una scimmia cleptomane golosissima di ghiaccioli alla banana, un’amica cartomante ornata di ingombranti turbanti fosforescenti (e, per gran parte del romanzo, scomparsa dalla circolazione) alla quale poter sottoporre tutte le noiosissime diapositive dei tuoi entusiasmanti viaggi, un ex agente di borsa dai monologhi vibramutande alla ricerca della Verità nei suoi continui viaggi nella magica e polverosa Timbuctù (ma siamo sicuri esista davvero? Qualcuno c’è mai stato?) e appassionato di conferenze sull’estinzione delle preziose rane – le rane, mai sottovalutare le rane, qualcuno ci pensa mai alle rane? – dalla faccia della terra, un dottore giapponese dedito agli enteroclismi alternativi, cinematografiche sale da bowling di periferia, il cielo sempre piovoso di Seattle e tanti, tantissimi umidi anfibi che speriamo nessuno ce li porti via tutti o saremo condannati a restare in un sofferente ecosistema zeppo di orrendi insetti scricchiolanti.
La vita di Gwendolyn (della quale facciamo parte solamente per un lunghissimo week-end d’inferno durante il quale cerca di salvarsi, almeno, la carriera) è sicuramente strampalata, esagerata, animata da incontri surreali che diventano pozzi di ispirazione grazie a continui riferimenti a dottrine esoteriche che collidono con l’assunzione di allucinogeni, la biodiversità da sempre in pericolo, quegli intelligentoni degli alieni, l’astronomia, il misticismo orientale e le pazze teorie attorno all’origine dell’universo. Insomma, un confuso ma affascinante pot-pourri di tonnellate di questioni vorticosamente complicate che le rane non si pongono mai neanche per l’anticamera del loro minuscolo cervello e infatti guarda che fine stanno facendo, poverette. Creature beate e ignare della loro scomparsa e dell’irreparabile buco nero nella catena alimentare che rischiano di lasciarci.
Di’, Gwen, quali sono le tue domande sui rettili e sugli anfibi? Te ne viene in mente una sola. Qual è il modo migliore per non dover mai avere a che fare con cose del genere?
A Seattle, come un po’ da qualsiasi altra parte, piove talmente tanto e quegli anfibi allucinogeni – né carne né pesce – in drammatica estinzione, dei quali Gwendolyn sente sempre parlare tra uno sbadiglio e l’altro nelle conferenze che frequenta con l’ex agente Larry Diamond, sapete chi sono? In realtà siamo noi, una via di mezzo tra Gesù Cristo (simbolicamente pesce) e Satana (simbolicamente rettile). Tom Robbins è lo scrittore delle dicotomie drastiche e la dicotomia più drastica che esista è destinata a rimanere sempre quella tra il sacro e il profano, lo Yin e lo Yang dell’Occidente. Noi siamo proprio lì, nel mezzo. Comodi comodi.
Ma cosa c’entra la drammatica dipartita delle rane con il tentativo di salvataggio di una carriera finanziaria e, più in generale, di una vita che sta per schiantarsi al suolo? C’entra. C’entra tanto quanto i popsicles alla banana e delle vecchie diapositive di Timbuctù possono aiutarti nella scelta di una giusta via di mezzo da seguire tra materialismo e spiritualità.
Protagonista di questa commedia filosofica dall’immaginazione illimitata è, soprattutto, il linguaggio. Tom Robbins è un mago del linguaggio sensoriale, Tom Robbins è il Wunderkammer delle metafore perché lui non ti fa leggere “ho i brividi” lui ti fa leggere qualcosa come “ci sono questi tre cubetti di ghiaccio sotto la camicia che continuano a sbattermi incessantemente contro la spina dorsale, li senti anche tu?”.
È per dare spazio al linguaggio che la trama è ridotta al minimo. È ridotta al minimo per dare spazio a infinite divagazioni a proposito di curiose teorie sul destino della razza umana, anfibi intelligentissimi provenienti dallo spazio, fantasiose tribù africane che comunicano a distanza con le stelle e, più in generale, sull’isterica ossessione dell’uomo verso la fine del mondo. VOGLIAMO LA DATA ESATTA, GRAZIE. Il tutto senza che ci sia una sola pagina digiuna di figure retoriche.
Fa letteralmente girare la testa ma leggere Tom Robbins è come leggere, non so, William S. Borroughs o Irvine Welsh o Bret Easton Ellis e più o meno tutti i lettori passano attraverso questa fase letterariamente violenta stramba caotica allucinata della vita e alla fine – seppur dolorosamente – ne escono e proseguono sulle loro strade ma da Tom Robbins spero di non uscirne mai più perché quel chiaccherone di Tom Robbins si merita tutte le stelle dell’universo: Sirio A, B, C, E, I, O, U, Y. Le altre milioni di milioni ce le metto io.
In un certo senso, gli esseri umani sono pesci fuor d’acqua.
Titolo: Beati come rane su una foglia di ninfea
Autore: Tom Robbins
Anno: 1997
Editore: Baldini&Castoldi
Pagine: 424