«Sono vegetariano.» «Non capisco.»
«Sono vegetariano.» «Non capisco.» «Non mangio carne.» «Perché no?»
“Noi non possiamo addurre come scusa l’ignoranza, ma solo l’indifferenza. La nostra generazione sa come stanno le cose. Abbiamo l’onere e l’opportunità di vivere nella fase in cui le critiche all’allevamento intensivo hanno fatto breccia nella coscienza popolare. Siamo noi quelli a cui chiederanno a buon diritto: «Tu che cos’hai fatto quando hai saputo la verità sugli animali che mangiavi?»”
Queste le parole di J.S.Foer in Se niente importa, un libro che vuole essere una denuncia marcata e decisa verso l’allevamento intensivo negli Stati Uniti. L’abilità di Foer, non soltanto da un punto di vista narrativo di cui ha dato sfoggio magistrale in Molto forte, incredibilmente vicino e Ogni cosa è illuminata, sta nel condurre un’indagine chiara e fruibile ai più sulle ragioni per cui non dovremmo nutrirci di carne.
Non voglio tracciare un’apologia al vegetarianismo, dei cui valori e principi morali non posso personalmente farmi portavoce, ma trovo importante riflettere su un problema complesso e sempre più urgente come lo sfruttamento animale, da cui spesso deriva un consumo di carne inappropriato.
Le argomentazioni avanzate da Foer nel suo romanzo sono molteplici e talvolta complesse, dal fattore ecologico a quello morale, dall’impatto sulla salute alla sostenibilità effettiva del consumo di carne.
Fortunatamente, il quadro tracciato con agghiacciante realismo in Se niente importa riguarda l’allevamento intensivo negli Stati Uniti dal cui modello, almeno per il momento, l’Europa si discosta parzialmente. Nonostante sia lampante il punto di vista dell’autore nella difesa dei principi vegani, Foer non vuole imporre la propria verità come assoluta e nemmeno si dichiara totalmente contrario al consumo di carne, purchè proveniente da allevamenti non industriali certificati.
L’allevamento industriale, infatti, sconfina spesso nell’abuso eclatante degli animali, ridotti a materiale da lavoro, alla stregua dell’acciaio o della plastica. C’è chi definisce questo fenomeno come “specismo” ovvero l’irrispettoso comportamento che contraddistingue la razza umana quando si trova in condizioni di supremazia rispetto alle altre specie animali. Per avere una panoramica più approfondita sulla questione consiglio la visione del film-documentario Earthlings di Shaun Monson, uscito nel 2005. (Attenzione, però: la visione è sconsigliata agli animi sensibili!)
Se invece siete dei vegetariani convinti e davvero non ne potete più di essere guardati come alieni, alla stregua del protagonista del libro di Foer Ogni cosa è illuminata (ecco, fatevi un regalo: https://www.youtube.com/watch?v=88wD1ZmmXJ8) vi consiglio di prenotare un volo per la Thailandia (once in a lifetime) e di lasciarvi travolgere dalla purificazione di anima e corpo, mentre vi abbuffate senza pietà di delizie veg, al Festival Tetsakaan Gin Jay.
Iniziate a chiedere una decina di giorni di ferie per fine Settembre, tenete in caldo il vostro miglior vestito, rigorosamente bianco, e preparatevi psicologicamente a un trionfo di cultura, religione e gastronomia.
Vabbè, se invece la Thailandia, almeno in un orizzonte di breve periodo, è destinata a restare un sogno ad occhi aperti, concedetevi almeno l’ascolto di Meat is Murder degli Smiths, ultima traccia dell’omonimo disco dell’85, e lasciatevi trasportare da questo pezzo assolutamente atipico e ambizioso. Una denuncia feroce e quanto mai efficace verso chi uccide gli animali e, di conseguenza, di chi ne mangia la carne.
Ciò che emerge in maniera lampante dall’ascolto di questi 6 minuti di canzone è la fede profonda di Morrissey nelle proprie convinzioni.
Fotografie 1 e 3: Livia Terenzi Alfonsi
Fotografia 2: Francesca Bianchi
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