Perchè “A Black Mile to the Surface” dei Manchester Orchestra è il disco dell’anno
Non sono un ascoltatore facile.
Ci sono quelli che ascoltano una canzone e bam, rapiti. Bang, è amore. Boom.
Io ho bisogno di tempo, prima di accettare un disco e farlo mio.
Del resto, è come far entrare un estraneo in casa. Un caffè lo concediamo a tutti, ma per la carbonara col guanciale alle 2 del mattino c’è da sudare un poco di più.
Poi però ci sono quelle due o tre persone che basta poco ed è già come conoscersi da sempre: sono rare come il peyote, te le tieni strette.
Stessa cosa è in musica, per me. A volte tutto è chiaro fin dal primo ascolto, forse addirittura già la copertina sarebbe bastata.
Ad esempio, in poco meno di un’ora avevo capito che A Black Mile to the Surface, nuovo disco dei Manchester Orchestra, è il mio disco dell’anno.
I notice you when you’re noticing me
Breaking the habit, you’re watching me sleep
Give me some time, let me learn how to speak
I’m a maze to you
Tutto inizia con una voce nel buio, The Maze scorre così. Niente di superfluo, solo semplice melodia e un paio di note di chitarra, giusto per non stonare.
Quando una canzone sta in piedi per 3 minuti su un’impalcatura così instabile, è chiaro che le
premesse siano a dir poco benauguranti.
The Gold e The Moth vanno in crescendo ma non danno il sollievo dell’esplosione: hai energie da vendere e restano dentro, fino a dissiparsi per entropia.
Il filo che tiene legate The Alien, The Sunshine e The Grocery da vita a uno dei trittici più riusciti di sempre.
The Alien è una ballata da spazzole e contrabasso, probabilmente il momento più melodico del disco.
Nel testo, l’impossibilità di morire a comando, anche accordandosi con Dio e una strada trafficata. E poi, ancora, la resa alla vita e al tempo: arrivano per ricordarti quanto sei solo, e non puoi farci davvero nulla.
The Sunshine parafrasa Socrate in mid-tempo. So di non sapere, e mi sta bene. Mi basta la luce de sole.
Infine, The Grocery con le sue chitarre addomesticate e la batteria costantemente in equilibrio
precario. Ancora esplosioni promesse e non mantenute. Un’altra morte impossibile da raggiungere, una pistola che si scarica un colpo troppo presto. Voglio solo andare via qui.
The Wolf è la mia preferita. Ipnotica, circolare, rassegnata. Vive di enjambement e batterie isteriche, striscia come un serpente nel bosco.
Tutto finisce con The Silence, un’altra voce nel buio, un’altra ricerca della luce.
Gli ultimi due minuti (di canzone e di disco) sono la catarsi: tanto trattenuta, attesa e necessaria che mi capita spesso di tornare indietro e riascoltarne il finale.
Let me watch you as close as a memory
Let me hold you above all the misery
Let me open my eyes and be glad that I got here
Non sono solo le singole canzoni, piegate da un dolore che è più facile cantare che tenersi dentro.
Non sono nemmeno i tocchi di classe della produzione, né il fluire organico della tracklist.
Non è il suono, mattone grigio alla bocca dello stomaco.
Non sono i testi, con i riferimenti circolari che farebbero innamorare anche il Paul Auster della Trilogia di New York.
È semplicemente l’opera nel suo complesso, nella molteplicità delle sue forme, a essere
incredibilmente priva di ombre.
Le stesse ombre che ne ricoprono ogni angolo, lasciandoti in apnea fino alla fine di tutto.
Album | “A Black Mile to the Surface”
Artista | Manchester Orchestra
Etichetta | Loma Vista Recordings
Anno | 2017
Durata | 49:07
Disco scaricato per caso e apprezzato sin dal primo ascolto. Rock maturo, arrangiato e suonato benissimo, pezzi curati in ogni particolare. Comprato il CD sono rimasto leggermente deluso dalla qualità dell’incisione, ma sono gusti personali. Per me è stato il disco del 2017, senza dubbio. Adesso andiamo ad ascoltare i precedenti….
ciao Stefano! Intanto grazie per il commento.
Sul suono, io penso che la loro sia stata una scelta voluta, non hanno cercato hi-fi ma un suono molto cupo e distorto… coraggiosi ma capisco che possa non piacere.
I dischi del passato sono molto particolari: Simple Math è un altro capolavoro secondo me (title track in testa), mentre il penultimo Cope è troppo piatto a mio avviso, ma anche lì c’è una ricerca sonora non indifferente.
Infine, se ti capita vai a vederli dal vivo. Penso abbiano il suono più potente che io abbia mai sentito, al limite del danno uditivo. Ce n’è bisogno, in questi tempi di decibel misurati dai vigili urbani.
MP
Ho letto questo articolo casualmente dopo esser arrivato, altrettanto casualmente, ai Manchester Orchestra. Mi è piaciuta talmente tanto la tua recensione (tra l’altro la pù bella che abbia mai letto da almeno 5 anni a questa parte) che sono corso ad ascoltare l’intero disco su Spotify e subito dopo lo ho acquistato.
Avendolo acquistato adesso, per me, è diventato il più bel disco del 2020!
Michele, che dire? Bellissime parole, le tue, e mi fa piacere che tu condivida con noi la bellezza di questo disco. l’ho riascoltato proprio oggi ed è invecchiato benissimo. A presto! Mattia