Ingrid Goes West o il lato oscuro di Instagram sul grande schermo
Orde di fanatici dei Social sparsi equamente in tutto il mondo, vivono le loro giornate allo stesso identico modo: indaffarati tra storie, dirette, filtri, pose, citazioni e hashtag, con l’obbiettivo di sembrare più fichi di quanto siano realmente. O almeno, di esserlo più della propria cerchia di amici altrettanto indaffarati, in una lotta che potremmo definire, all’ultimo like.
Una guerra a tutti gli effetti, 24h, talmente folle che a quanto pare può distruggere le vite degli ignari partecipanti come ci racconta Matt Spicer nel suo Ingrid Goes West, uno dei film più apprezzati nella scorsa edizione del Sundance Film Festival e che speriamo tanto venga distribuito presto anche in Italia.
La dark comedy fa il suo debutto indossando gli stessi colori dei filtri più in voga tra i post di Instagram riuscendo così a risultare anch’essa orribilmente piacevole già dal primo sguardo.
Il film racconta la storia di Ingrid Thorburn (interpretata dalla bravissima Aubrey Plaza), una ventenne depressa, ricoverata presso una struttura psichiatrica a seguito di un disturbo ossessivo sviluppato trascorrendo le sue giornate su Instagram.
Quando viene dimessa,con l’eredità della madre decide di trasferirsi in California per iniziare una nuova vita… Ehm, “nuova vita” ispirata da Taylor Sloane (Elizabeth Olsen) un’influencer di Instagram (chi lo avrebbe mai detto?) di cui ha letto sulla rivista Elle.
Non passa molto tempo e Ingrid si ritrova nuovamente a trascorrere le sue giornate aggiornando ossessivamente i feed dei social, cercando di decifrare i segreti per conquistare lo stile giusto e una vita meravigliosa come quella di Taylor. Poco a poco Ingrid comincia a imitarla disperatamente, fino a quando, grazie ad uno stratagemma, riesce a diventare addirittura la sua nuova “Best Friend”, e si ritrova finalmente catapultata in questa nuova vita a lungo sognata nella cerchia hipster di Los Angeles tra maratone di shopping di lampade artigianali, margaritas e cocaina.
Ingrid è senza ombra di dubbio una vera e propria psico-stalker ma non può che suscitare anche una certa tenerezza, in quanto rappresenta anche il triste prototipo della persona sola che, smarrito il contatto con la realtà, si rifugia nel mondo patinato di Instagram come unica forma di contatto con il mondo. Vestiti così. Parla cosà. Mangia questo. Fai yoga. Viaggia. Ingrid sa che il suo nuovo stile di vita è solo un’imitazione superficiale di un ideale lontano dalla realtà, ma spera che nel tempo possa darle comunque risultati autentici: fake it until you make it!
La sua vittima, invece, la bionda influencer californiana incarna perfettamente lo spirito del suo libro preferito The White Album di Joan Didion ma si dimostra una ragazza sprovveduta che non si rende conto che il suo lavoro – postare le foto della sua vita apparentemente perfetta e chattare tutto il giorno con amici sconosciuti chiamati insta-fan – alla lunga può avere conseguenze anche nel mondo reale.
Se Taylor – narrativamente parlando – coincide perfettamente con The White Album e “la grande vuotezza californiana”, Ingrid invece, concide con il lato psicotico che cerca in ogni modo di costruire una connessione virtuale per compensare il vuoto delle immagini di quel mondo perfetto che non riesce a conquistare e sonostenere nella sua quotidianità. Del resto, questa illusione, è pur sempre un’alternativa migliore alla disperazione assoluta in cui si ritrova a vivere.
Ingrid Goes West vede i Social Media come il vaso di pandora 2.0 che trabocca di narcisismo, solitudine e invidia e riassume in modo perfetto i possibili pericoli che si nascondono in questa autonarrazione senza limiti.
Non è la prima volta che il cinema si è occupato del mondo dei Social Network: The Bling Ring di Sofia Coppola (2013), ci ha mostrato per la prima volta la confusione generata tra l’immagine di noi stessi nella realtà e i nostri “sé celebrità”, ossia quelli che abbiamo il potere di mostrare al mondo tramite i social network. Anche il film horror di Levan Gabriadze, Unfriended (2014) ha portato alla luce le paure inconscie legate al mondo alienato di Facebook. Il tema è stato trattato come una distopia iper-esagerata nell’episodio “Nosedive” della terza stagione “Black Mirror” (2016), che immagina una società in cui reputazione, classe sociale e opportunità lavorative si basano esclusivamente sulla popolarità ottenuta sui social attraverso votazioni che chiunque può dare in base a una qualsiasi interazione.
Anche la pubblicità ha recentemente dato il suo contributo sul tema, con un cortometraggio dal gusto horror diretto da Carrie Brownstein per Kenzo “The Realest Real” (2016) in cui vediamo una ragazza recarsi ad un colloquio per scoprire che in quell’ufficio sono presenti dei documenti contenenti tutto ciò che ha scritto su internet in vita sua.
Potremmo dire che si tratta dell’inizio dell’esplorazione da parte della cultura pop della nuova realtà generata dal modo in cui i Social Media influiscono sulle nostre vite, di come li usiamo per creare connessioni e per mostrare agli altri come viviamo le nostre vite senza conoscere il costo effettivo di tutto questo. Ma, se Joan Didion ci aveva suggerito che per sopravvivere avremmo dovuto raccontarci delle storie, Matt Spicer ci avvisa dei pericoli che l’esagerazione può comportare, e che almeno ogni tanto, prima di cedere al bisogno di narrarle queste storie, forse dovremmo prima tornare a viverle davvero.
Titolo originale | Ingrid Goes West
Regia | Matt Spicer
Anno | 2017
Durata | 97 min