Sospiro, Cremona | Oltre il muro dell’indifferenza

Sospiro, Cremona | Oltre il muro dell’indifferenza

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Sospiro è la mia terra. È quella piccola enclave di poche centinaia di abitanti in provincia di Cremona che mi ha visto crescere. Anzi, che mi ha fatto crescere. A Sospiro c’è tutto quello che contraddistingue il piccolo paesino di campagna: la chiesa, fulcro e perno delle relazioni, il panettiere, una manciata di bar, l’edicola, il comune, il mercato e le signore sulle panchine. A Sospiro, però, c’è anche il valore aggiunto, il “fattore diverso”. Un complesso di strutture ed edifici che prende il nome di “Fondazione Sospiro” ma da tutti è (ancora) conosciuto come “Istituto Ospedaliero”. Lì vivono, crescono e si relazionano più di 400 tra ragazze e ragazzi disabili.

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Quelli tra loro affetti da patologie meno gravi sono spesso inseriti nelle piccole dinamiche del paese. Proprio come gli altri. C’è Luca*, che aspetta impaziente il centro estivo per suonare il tamburello mentre i bambini cantano. C’è Andrea*, che ogni pomeriggio è buono per stare in porta in una partita di calcetto all’oratorio. C’era Angelo, che quando ero all’asilo e giocavo in giardino era sempre là, oltre una ringhiera ed una siepe per noi troppo alta, che ci salutava dicendo “ciao Angelo”. C’è ancora, credo, Michela*, che alla messa delle 9 intona il suo Osanna. Ci sono i ragazzi e le ragazze per noi senza nome che invece sono troppo gravi per poter uscire. C’è, quindi, una famiglia “di tutti” che vive e cresce in queste quattro strade che si incrociano, perse, quasi “isolate”, nelle nebbie dell’inverno padano, nelle giornate afose d’estate. C’è una fortuna, che è quella degli abitanti di Sospiro. È la fortuna di chi fin da piccolo cresce a contatto con la diversità, e allora l’emarginazione, quando esci dalla tua terra, non è solo un istinto, ma una consapevolezza. Perché l’hai vista. Perché l’emarginazione si impara a gestirla solo avvicinando il diverso. Altrimenti resta solo una forma di naturale ritrosia.

Forse Sospiro, per certi tratti, alcuni anni fa, avrebbe ricordato proprio le immagini de’ “La Seconda Ombra”, di Silvano Agosti. Un film che racconta Franco Basaglia a Gorizia nel momento in cui decide di abbattere “il muro” che sorge tra il manicomio e il mondo esterno. Un Basaglia che insegna che a volte bastano una dolcezza, un sorriso di ritorno, l’abbandono della compassione, per rendere più libero e accettato qualcuno.

E in quell’oratorio dove Luca suona al centro estivo e Andrea affronta ogni giorno il proprio mondiale, mi provavano a insegnare che l’uomo, ogni uomo, è figlio e fratello. Tuo. A prescindere dalla sua differenza; a prescindere dalla tua indifferenza. Proprio come in alcune delle note dell’album “La buona novella” di Fabrizio De André. Nella scuola dove Angelo ci salutava, invece, chissà quanti bambini come Charlie sono passati. Avete presente il film “Noi Siamo Infinito”? Quel film è tratto dalle pagine di “Ragazzo Da Parete” di Stephen Chbosky, un titolo che poi si è perso per ovvie ragioni di marketing. Ecco, Chbosky ha scritto un libro pazzesco, trasformando il disagio dell’emarginazione che tutti almeno una volta abbiamo provato, in una dolcissima sensazione di infinito. Già, perché l’emarginazione non è solo quella del “diverso” ma anche quella che si prova nelle piccole dis-attenzioni quotidiane.

E, ancora, è nel quotidiano che incontriamo gli “invisibili” come, ad esempio, i Senza Fissa Dimora, che a Milano sono più di 2600 e in Europa sono 4,1 milioni. Ragazze e ragazzi tra i 25 e i 44 anni (sì, esatto!) che vivono per strada, di fortuna e con storie difficili alle spalle. Un fenomeno che non si vede ma c’è, e che fa rabbia pensando agli undici milioni di case vuote che ci sono nel nostro continente. Un fenomeno che, però, si può misurare per provare ad affrontarlo. Come? Potete farlo anche voi di persona. Trovate le informazioni sul sito www.frdb.org.

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Ecco, da Luca*, Andrea*, Angelo e Michela*, o da un ragazzo sul ciglio della strada, abbiamo davvero tantissimo da imparare. Oltre il muro dell’istintiva indifferenza c’è la naturalezza della diversità. Vale per le persone affette da patologie, per quelle che combattono con le involuzioni della vita e per quelle che scelgono di rifugiarsi dietro le proprie inquietudini. Insomma, per tutte quelle che, senza accorgercene, tendiamo a non prendere mai in considerazione.

Un giorno, col senno di poi, capisci la fortuna dell’essere cresciuto a Sospiro.

Gabriele Zagni

*nome di fantasia ma storia vera.

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