Morte di un casanova | Leonard Cohen
“Ho quasi novant’anni
Tutti quelli che conosco sono morti
tranne Leonard
Lo si può ancora vedere
che zoppica con il suo amore
Ho analizzato la sua morte. Per quanto sia instabile, dubito che troveremo il vecchio caprone che mordicchia di nuovo l’orlo di pizzo delle svariate salvezze. Inoltre la sua morte è asessuata e non la si può usare in politica. C’è un dolce profumo da due soldi nell’aria, del quale lui è in parte responsabile. La sua morte appartiene al futuro. Io ho letto parecchio. Io sono ben servito. Io sono soddisfatto e mi arrendo. Lunga vita al matrimonio di uomini e donne. Lunga vita all’unico cuore.”
( da “Esame finale” )
Torno a casa, Ulisse. Io torno a casa e son Penelope: vorrei tanto essere io quella che si copre le orecchie con tappi di cera, e non sentire – non sentire – le sirene che nidificano nella tua voce.
Un anno è passato – ti do del tu perché detesti esser trattato come un dio – ma un anno è passato, e allora io lascio il tuo libro sul treno e torno a casa, Casanova.
“C’è uno stato d’animo in cui Beethoven è troppo rumoroso, e Bach troppo saggio, e il silenzio troppo perfetto per un cuore sporco come quello che ho in petto”
(da “Forse è primavera”)
Un anno è passato, e tu sei ancora morto: mi copro gli occhi come fanno i bambini quando hanno paura, quando accompagnano i genitori a far visita al morto che spende in casa le sue ultime ore – “Capiscano che cos’è la morte” dicono i vecchi, “che esiste” -. Ché, se sei morto, allora non ti voglio vedere. Giro il tuo libro a faccia in giù, la tua guancia in copertina sfiora la polvere sul mio comodino, io non ti voglio guardare.
“Una farfalla sbatte come la coda di un filmino familiare, e mi dà le parole grazie alle quali costruisco per te un mondo in cui puoi farti largo a gomitate, un mondo vasto, complesso e autentico, dove risulta che dopotutto l’innamorato sono io, e tu ne vieni fuori come nient’altro che una cretina, però perdonata sotto una grandinata di semi”
(da “Dopotutto l’innamorato”)
Né ti vorrei toccare. E contare gli spilli ruvidi della barba sfatta e il feltro del tuo cappello, la forfora sul tuo cappotto.
La carta opaca, spessa, ruvida della minimum fax, la sua costa giallo-zucca, elegante: ma visto che non mi sono “illusa di aver accerchiato un poeta”, né sono “morta in cattività”, vedrai bene ch’io non ti tocco.
“Perché allora
anche quando sorridendo dici
sì ora tutte le volte
Tutte le volte che mi vuoi
perché allora non credo
Che ti terrò mai più abbracciata
o camminerò per strada
sotto il mio cappuccio
con la fragranza depositata dai tuoi dolci succhi
sulle mie labbra sulle mie dita
mi fa venir voglia di rinunciare a te
e di scoprire imperfezioni sulle tue natiche
e ceneri nella luce del tuo volto
Aspetto che tu danneggi la mia fame
così da poter essere qualcosa di più
di un uomo affamato
che attende il banchetto
con qualcun’altra meno affamata di lui”
(da “Ti ho presa”)
“Morte di un casanova” è una raccolta di poesie, brevi prose liriche e pagine di diario scritte intorno agli anni ’70: Leonard Cohen, che è voce, canta anche senza la sua voce.
E anche senza le sue canzoni, senza il Suono – lui che è Suono -, è Leonard Cohen: fedele a se stesso, sempre; e sempre ancora inesplorato. E’ uno scrittore. Anche senza musica, esiste.
“Morte di un casanova” è un gioco di specchi: in cui ogni composizione (di cui l’edizione minimum fax ci consegna anche l’originale in lingua inglese) è seguita dal suo doppio, come un Giano bifronte, che smentisce o viceversa spiega quanto scritto appena una pagina prima. E’ una presa in giro del lettore, la spiegazione di un poeta logorroico e incoerente, che si dilunga e mente, che ritratta e insiste, che ha un solo talento: la mescolanza autentica di poesia e pornografia, l’amore.
“Morte di un casanova” ha una timida biografia interna secondo cui Leonard è ancora vivo, manca l’anno della morte – che conquista il titolo e spazio nella poesia, donna con cui flirtarte, ma non nella verità.
“Morte di un casanova” è da tenere sul comodino: una compagnia la cui forma è tracciata dalla polvere, disegnata sul marmo come una reliquia, e dalle matite temperate di continuo, e dai pizzini strappati ovunque per ricordare. Che cosa succede quando muore un Casanova?
Se muore un Casanova, muoiono tutti i casanova del mondo: viviamo per questo – per celebrare l’amore, quella che Leonard chiama “la vita nell’arte” (arte che si nutre di poesia che si nutre di amore che si nutre di donne) – l’amore come mestiere, ad ogni angolo di strada, per mille volti diversi in metropolitana, continuamente chini sui fogli di carta. Se muore un Casanova moriamo tutti: e per questo – passato un anno – io voglio tornare a casa, e contemplare la mia morte, il mio funerale, dalla tua quarta di copertina.
“Morte di un casanova” è l’addio di un uomo che si sta votando al matrimonio, e perciò sente di morire: e allora raccoglie tutto ciò che ha scritto sull’amore il sesso la rabbia la paura e la bellezza, e fa testamento. Un testamento magmatico e spirituale, denso e leggero, lirico e sconcio: io sono Leonard Cohen. E sono uno scrittore.
“Prendi la parola farfalla”
Una voce nera, una notte nera, mi rimbocca le coperte con le sue lunghe scheletriche dita, e quando mi giro sul fianco del lato del cuore mi sussurra all’orecchio una ninna nanna sconcia. Mi accarezza i capelli sul collo col suo fiato caldo.
È la tua voce è mischiata ora alla Morte, Casanova. Il tuo libro, sul comodino.
Titolo | Morte di un casanova
Autore | Leonard Cohen
Casa editrice | minimum fax
Anno | 2012 (1978)
Pagine | 537