Chi è IT e perché abbiamo paura del clown Pennywise?

Chi è IT e perché abbiamo paura del clown Pennywise?

Riiiiidiiiii pagliaaaccioooo!

Ho iniziato a leggere Stephen King a 11 anni, come forma di emancipazione nei confronti della letteratura “per bambini”, ma anche come forma di ribellione nei confronti di genitori ed inseganti che ritenevano il genere poco adatto. Solo col tempo ho saputo apprezzare la grandezza di King, fino a considerarlo uno dei più importanti autori americani viventi. Stiamo parlando di quella manciata di autori, insieme a Philip Roth e Don De Lillo, capaci di indagare la mente dell’America ed il suo pensiero. King lo fa da osservatore “istintivo”, più che da studiato documentarista, facendo emergere le immagini e le emozioni, prima che la teoria che ne svela la loro essenza.

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Fra i suoi libri più noti ed al contempo più importanti, c’è IT. Monumentale racconto di formazione (infantile) e destrutturazione (adulta), capace di indagare le mille facce della paura, ma soprattutto la paura di diventare adulti. Come spesso accade nei grandi romanzi, molteplici sono i piani di fruizione e di lettura: è un ottimo racconto horror; un ottimo racconto di formazione; un racconto sulle paure e sulla difficoltà di diventare adulti, in un mondo di adulti quasi “alieni”; e poi c’è quella cosa che serpeggia sotto tutta la narrazione, come IT serpeggia sotto Derry. La figura più iconica del libro, tanto da ossessionare l’immaginario popolare, è Pennywise il pagliaccio ballerino, la principale “forma” della creatura che vive sotto Derry, dentro Derry. Il clown malvagio è una figura ormai abusata, forse, ma ancora efficace: fa paura. Sempre. Fa paura tanto da farci ricordare un pessimo film tv (l’IT degli anni novanta), dove un ottimo (come sempre) Tim Curry faceva da mattatore. Perché, però, fa paura?

No, ok, è orribile.
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King sostiene di aver scelto il pagliaccio perché tutti hanno paura dei clown, soprattutto i bambini. Ed è vero. La paura per i pagliacci nasce dalla loro essenza anomala. Il clown è un’anomalia. È un’anomalia perché non può esistere un essere perennemente felice a discapito delle torte in faccia e dei calci in culo; i suoi colori sono eccessivamente vividi; le sue espressioni eccessivamente accentuate. Il pagliaccio rappresenta qualcosa di sicuramente non reale, eppure esiste ed è una persona, sotto il cerone. Il disagio è spesso esasperato nei bambini. Per la mente dei bambini le regole sono importantissime ed il clown le infrange. Non bisogna pensare che la fantasia trascenda ogni regola, non è così. Anche la fantasia più sfrenata di un bambino sottostà a regole ben precise. È il motivo per cui nei romanzi/film fantasy o di fantascienza non si può fare ogni cosa, ma bisogna mantenere un rigore ed una coerenza interne al sistema (vedi i ridicoli viaggi di poche ore all’interno dell’universo di Game of Thrones, per fare un esempio). Lo stesso vale per il bambino. Il clown infrange la coerenza interna del sistema fantasia. Il bambino capisce che le espressioni non sono reali e sono spesso false, proprio perché il suo sistema di comunicazione è ancora prevalentemente non-verbale. Il bambino percepisce l’anomalia e ne prova disagio e paura.




Ma IT non è solamente un clown e ridurlo ai suoi pon pon arancioni sarebbe decisamente poco lusinghiero per una creatura di origine quasi divina. Ed è a questo punto che King diventa lo scandaglio per le profondità della mente americana. IT incarna le nostre paure e può trasformarsi in esse, per annichilirci. Ma non è l’insieme delle nostre paure, è qualcosa di molto più profondo e complesso. IT è entrato in simbiosi con le persona di Derry (o dell’America tutta?). E serpeggia sotto la città, sotto la veste di perbenismo, sempre all’erta. IT è il bullo della scuola. È il razzismo insito nella società, quello che fa dire alla mamma di Eddie la teoria degli uccelli (“i merli stanno con i merli, non con i pettirossi”). È il maschilismo machista che fa delle donne un mero oggetto. E anche l’omofobia latente, quella che ha tanti amici omossessuali, però… È il padre di Beverly che fa pensieri impuri su di lei e la picchia, “per amore”. È il marito di Bev che la soffoca sotto la sua dominazione, fisica e morale. È Harvey Weinstein che per decenni abusa impunito del suo potere per sottomettere le donne. È la violenza insita nelle cose americane, anche le più innocue. È la strage di Columbine. È la paura dell’altro, pervasiva, sconfinata, soffocante. La paura che serpeggia sotto la società civile e benpensante, dietro la facciata. È l’orecchio reciso che Lynch mette nel giardino di una villetta della medioborghesia americana in Velluto Blu.

IT sbagliato, scusate. Questo è mio cugino.

IT è questo e tante altre cose ancora. Rappresenta, in forma immaginifica e non cosciente, il pensiero latente che ha accompagnato la storia degli Stati Uniti, fin da quando i Padri Pellegrini (fanatici e fondamentalisti) sono sbarcati e hanno fatto piazza pulita dei nativi e hanno dato la caccia alle “streghe”. Per paura. L’ambientazione del romanzo è una città di provincia del nordest degli USA. La scelta del luogo è indicativa e programmatica, non solo perché permette di ambientare le vicende nei sobborghi tanto noti all’autore che lì risiede. Ambientare un romanzo di questo tipo nel sud sarebbe stato troppo facile: è noto come il razzismo al sud sia ancora fresco e proliferante. Neppure poteva essere ambientato in California, dove è scoppiata la rivoluzione omosessuale. No, andava ambientato nelle regioni considerate più civili di tutti gli stati americani. Derry è fuorimano, ma vicina a Boston. Quindi a New York. Il quelle zone il razzismo non esiste, l’omofobia è considerata ridicola! A pochi chilometri l’intelligenza americana studia, al MIT o a Yale. Eppure anche qui qualcosa continua a serpeggiare al di sotto di tutto. Il racconto andava ambientato nel posto più insospettabile, dunque quello più iconico. Perché se è così nel ricco e saggio nord-est, figuriamoci altrove. Non siamo nel sud del KKK, ma anche qui ci sono state congreghe che promulgavano la supremazia bianca, come ricorda Mike, tanto per dirne una.

Ecco, IT è l’insieme di tutte queste cose. È quanto di più profondo giace nella psiche americana, sposa di quella paura atavica che porta Trump a farci rischiare la guerra termonucleare. E non vedremmo bene il nuovo Presidente, con un abito argento, pon pon arancioni e palloncini in mano?

Grazie Internet, per rendere sempre tutto più facile.
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Non è quindi forse un caso, che venga riproposto proprio in questi giorni un nuovo adattamento cinematografico dell’epopea di Derry. Viene portato sullo schermo da Andrés Muschietti, già noto per il buon horror psicologico La Madre e riguarda solo la parte dei bambini, lasciando le vicende degli adulti ad un Capitolo Due di prossima uscita. Cosa rimane dell’IT letterario, in questa nuova versione? Purtroppo non molto. Il film è un discreto racconto sull’infanzia e l’adolescenza, quasi una versione “con mostri” di Stand By Me (che fu il nucleo originario dell’idea di IT, anche a detta di King) o dei Goonies. Gli stessi protagonisti sono visivamente plasmati sui loro antecedenti. E questa è senza ombra di dubbio la parte che funziona di più di tutto il film. Le interazioni fra i ragazzi, i loro sguardi, la loro crescita interiore sono veritieri e di ottima realizzazione. Spicca su tutti la strepitosa Sophia Lillis (nei panni di Beverly Marsh), che con uno sguardo fa subito innamorare tutti quanti, sia dentro che fuori dallo schermo. Ha la capacità di un’attrice adulta e navigata e sovrasta i suoi compagni di diverse misure, oltre a rendere giustizia ad un personaggio splendido anche nel libro. Poco spazio, invece, viene lasciato ad altri Perdenti: di Stan, Richie e Mike si sa pochissimo.

Visivamente pregevole il pagliaccio Pennywise, interpretato da un disturbatissimo Bill Skarsgård. Ottima la sua recitazione ed il lavoro fatto sulla sua voce, in lingua originale splendidamente fastidiosa e risucchiante. Purtroppo, però, IT è solo un mostro. Il suo intimo legame con Derry non viene sondato e solo chi ha letto il libro, riuscirà a cogliere qualche blando riferimento a questo legame. La vera grande assente è proprio la città, personaggio fondamentale nel libro. Ugualmente molte altre cose sono lasciate alla superficialità di una sceneggiatura a tratti sommaria. Il cattivo per eccellenza, Henry Bowers è cattivo e basta e non mostra alcuna sfumatura, né alcuno sviluppo della sua psiche disturbata. Lo stesso vale per il padre di Bev. Entrambi vengono mossi da IT, ma non sono IT e questo è un errore. Gli abitanti di Derry hanno dentro di loro IT e ne sono talvolta pervasi. Non sono solo pedine o strumenti.

Adorabili Perdenti

Il film fa molti riferimenti interni al libro, senza svilupparli in alcun modo. Questi sono evidentemente fruibili solo a chi ha letto il libro e appesantiscono la sceneggiatura, per tutti gli altri. Alcuni passaggi sono forzati e sbrigativi, come se fosse stato tagliata della metratura alle riprese originali. Per quanto riguarda la componente horrorifica, è tutta piuttosto attesa e prevedibile e non garantisce neppure qualche salto sulla sedia.

Non è mai facile rappresentare sul grande schermo un romanzo di King e molti (direi la maggior parte) hanno fallito nel tentativo. Il nuovo IT di Muschietti è riuscito solo a metà. Non sarebbe un brutto film, se non fosse tratto dal romanzo.

 

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