Quadrato nero su fondo bianco | Kazimir Severinovič Malevič
ovvero della porta aperta da Malevič
Titolo: Chetyreugol’nik (Quadrangolo)
Artista: Kazimir Severinovič Malevič
TAR: olio su lino, 79.5 x 79.5 cm
Anno: 1915
Collezione: Galleria Tretyakov, Mosca
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Sotto il pallido sole di quest’ottobre appena iniziato, rispolveriamo un grande classico, una pietra miliare della storia dell’arte e nonché beniamino del “si ma non ho capito”. Che si sa ormai che questa domanda uno se la autocensura dentro la testa, pena l’esclusione dal circoletto radical-chic che conosce dei locali tanto fichi e va alle inaugurazioni delle mostre (diciamocelo, per scroccare da bere). Ormai l’arte la si dà per scontata in quanto tale, non si mette in discussione, tutt’al più ci si fa un selfie. Non che l’arte si possa spiegare, ma si spera ci sia ancora qualcuno disposto a farsi delle domande senza necessariamente aspettarsi delle risposte.
Preambolo. Il nostro eroe di oggi si chiama Kazimir Severinovič Malevič e nacque nel 1878 a Kiev, in Ucraina. Russo di adozione (si trasferisce a Mosca nel 1904), si trova nel bel mezzo del cammin della sua vita quando l’Europa è in pieno fermento per le cosiddette Avanguardie, oltre che ovviamente per la Guerra da cui prendono in prestito l’etimologia. Nella corsa al nuovo, ci si fa avanti a suon di Manifesti: nel 1909 Marinetti proclama la sua ode al futuro, nel 1910 due certi tizi meglio conosciuti come Braque e Picasso stanno stratificando scorci di visione in quello che viene poi chiamato Cubismo, Kandinskij sta cercando Lo Spirituale. In questa grande scacchiera in cui si gioca il destino dell’arte c’è anche Malevič, un poco in disparte.
Nel 1915 si tiene nell’ex Pietrogrado oggi San Pietroburgo l’Ultima Mostra Futurista 0.10 – che ci si creda o no, le idee circolavano benone pure senza twitter. Quello a cuiMalevič aveva lavorato, viene finalmente svelato, immagino tra l’incomprensione e lo stupore generale. In una sala al primo piano dell’elegante Art Bureau di Nadeshda Dobychina le pareti ospitano una serie di tele di medie dimensioni, con figure geometriche nere su sfondo bianco. Nell’angolo, quello tradizionalmente dedicato all’icona, al santo, come un’apparizione sacra troneggiava un quadrato nero su fondo bianco. Un oggetto alieno (cit.), un’immagine che è tabula rasa di tutte le immagini. La storia dell’arte aveva appena fatto un passo in avanti, anche se fu come al solito avvertito in seguito (con le composizioni di Mondrian ad esempio, e ancora di più a metà secolo, con i monocromi di Yves Klein e Piero Manzoni). Quello che Malevič lamentava dei suoi colleghi avanguardisti era la comunque presente adesione alla realtà, all’oggettività, come la chiama lui.
“Il quadrato nero sullo sfondo bianco è stato la prima forma di espressione della sensibilità non oggettiva: quadrato = sensibilità, fondo bianco = il Nulla, ciò che è fuori dalla sensibilità. Eppure la grande maggioranza della gente ha considerato l’assenza di oggetti come la fine dell’arte e non ha riconosciuto il fatto immediato della sensibilità divenuta forma”
si legge nel suo (eh sì, ha dovuto scriverne uno anche lui) manifesto del Suprematismo. Suprematismo perché voleva superare quell’idea di arte legata alla rappresentazione, prima ancora che la parola astratto divenisse di uso comune, prima ancora che venisse teorizzata una concezione di autoreferenzialità dell’arte, di “arte per l’arte” a cui ci siamo, forse anche troppo, abituati.
Malevič non inseguiva l’ideale di una perfezione incarnata dal geometrico, se si nota bene, i bordi del quadrato nero sono imprecisi e sbilenchi. No, lui ha aperto una finestra sul nulla (e di nuovo, ben prima che Fontana tagliasse le sue tele), ridando potere all’immagine in quanto tale. L’assenza di figurazione riscatta l’immagine dall’essere rappresentazione di qualcosa, e si manifesta come pura evidenza, sensibile e superficiale, di esistenza.
Potremmo aprire innumerevoli capitoli sull’argomento (magari lo faremo, ma non è questo il giorno -semicit). Come Prometeo sfidò gli dei per consegnare il fuoco agli uomini, Malevič ci ha regalato il dubbio senza possibilità di risposta. Per non smettere di interrogare l’arte, anche quando il bianco e nero fa così très (radical-)chic.