Nightcrawler, nel buio della notte

Nightcrawler, nel buio della notte

La locuzione latina “Mors tua vita mea”, di origine medioevale viene comunemente usata per descrivere efficacemente un comportamento connotato da caratteri opportunistici. (fonte Wikipedia.) Questa formula riecheggia costantemente nell’opera prima dello sceneggiatore Dan Gilroy (The Bourne Legacy) che imbracciando la macchina da presa realizza un film sul cinismo insito nella società contemporanea.

Pure nella Los Angeles Hollywoodiana, colpita dal flagello della disoccupazione, trovare un posto di lavoro sembra essere un’impresa non da poco, sicuramente lo è per Lou Bloom, costretto a vivere di furtarelli fino a quando, per caso, imbattutosi in un incidente d’auto, scopre il lavoro di stringer.

“Nightcrawler” si va ad inserire in quel filone di pellicole critiche nei confronti della televisione e del suo modo di fare informazione che vede in Quinto potere forse l’opera più riuscita. Se la pellicola di Lumet nel 1976 creò scalpore per le tematiche trattate oggigiorno il pubblico è ormai assuefatto al cinismo e all’amoralità della televisione, Gilroy consapevole di questo pone al centro del suo lavoro un personaggio tra i più riusciti degli ultimi anni e ne ricava un film che non può non colpire lo spettatore. La caratterizzazione del protagonista è infatti così ben riuscita da far passare in secondo piano la critica al giornalismo: il fatto che Lou decida di fare lo stringer è ovviamente una componente importante della pellicola ma non essenziale, il protagonista poteva, tanto per fare un esempio, essere un batterista Jazz emergente che il risultato sarebbe stato simile. Ciò che viene messa in luce è infatti la determinazione e l’opportunismo dell’essere umano del secolo 21esimo, disposto a tutto pur di avere successo.

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Il punto di forza della pellicola risiede proprio in Lou Bloom, interpretato magistralmente da un Jake Gyllenhaal (mai così poco fregno) capace di rendere perfettamente l’alienazione del personaggio. Vale la pena spendere due parole a favore di questo attore che è, a mio parere, uno dei più interessanti della sua generazione e che ha il merito di essersi cimentato (quasi) esclusivamente in ruoli impegnativi almeno quanto il suo cognome. In questo film veste i panni di un sociopatico allampanato nel cui volto smunto dalla dieta si stagliano occhi spiritati e un sorriso tanto falso quanto accattivante (azzardo un paragone: in alcuni frangenti mi ha ricordato l’Hannibal Lecter di Anthony Hopkins). Ha il potere di ammaliare lo spettatore anche se consapevole che per l’intera durata del film il protagonista non farà altro che comportarsi in maniera immorale, mi correggo, amorale. E’ un personaggio che cattura e affascina perché in realtà Lou, figlio della società odierna, non è carnefice tra le vittime, il suo atteggiamento risulta perfettamente in linea con quello del mondo che lo circonda: se gli spettatori alle 6 del mattino vogliono sangue, perché mai lui, dannatamente bravo nel procurarglielo, dovrebbe farsi delle remore? Proprio il fatto che non si distingua dagli altri, che sia LO sciacallo nella Città degli Sciacalli (più che degli Angeli), impedisce di provare disgusto nei suoi confronti, sociopatico consapevole (“E se il mio problema non fosse che non capisco la gente, ma che non mi piace la gente?”) che, malato di quella malattia contemporanea che è la costante ricerca di successo, non vuole cambiare altro se non il suo status sociale. Privo di alcun tipo di emozione si esprime come un automa attraverso ripetizioni mnemoniche di concetti appresi da quella miriade di corsi di formazione online che si è sparato nel cervello pur di arrivare (Passo tutto il giorno al computer.), e il termine “sparato” non risulta iperbolico perché è proprio quella la sensazione che il regista pare dare quando ritrae il protagonista nel suo appartamento spoglio, illuminato solo dalla tv che lo colpisce e sembra lobotomizzarlo.

Se il titolo in lingua italiana (come al solito non esente da critiche), “Lo sciacallo”, vuole sottolineare la natura di Lou, conferendogli un’accezione negativa (che non mi sento di condividere), quello in lingua originale, “Nightcrawler”, pone maggiormente l’attenzione sull’ambiente notturno nel quale è immerso tutto il film. In una L.A. by night illuminata più dai fari delle auto e dai bagliori delle pistole che dalle insegne al neon, che strizza l’occhio verso quella disegnata da Michael Mann in “Collateral”, il protagonista si muove come un vampiro del XXI secolo (non me ne vogliano Robert Pattinson e compagn(i)a Bella) in cerca di sangue. Esemplare la scena in cui il protagonista, letteralmente appollaiato sul tetto della macchina in un atteggiamento simil-ferino, sembra drizzare le orecchie e fiutare la sua preda.

L’intero film si basa sulla manipolazione, tanto degli altri, in modo tale da aumentare il potere di contrattazione e raggiungere il proprio fine, quanto delle immagini. A tal proposito forte è la componente meta-cinematografica: Bloom capisce come sopra ogni ripresa, anche quella che dovrebbe essere la più realistica, ci sia in realtà una patina di artificiosità. Da bravo regista impara dunque a gestire le sue riprese in modo tale da renderle il più sensazionali possibile (“Sto studiando le inquadrature: una buona inquadratura non solo attira l’occhio sull’immagine ma ce lo mantiene più a lungo, sfumando la barriera tra l’oggetto e l’esterno del fotogramma.”) e a scrivere la sceneggiatura perfetta del suo ultimo servizio che si presenta come un vero e proprio action-movie con campo e controcampo, sparatorie e inseguimento spettacolare che Vin Diesel levati proprio.

E’ doveroso dire che questo film, come del resto ogni opera d’esordio, presenta qualche difetto. In alcuni passaggi Gilroy chiede un po’ troppo alla sospensione dell’incredulità dello spettatore, mi spiego: è vero che siamo ormai abituati alla mancanza di filtri tipica delle televisioni odierne, certe situazioni del film raggiungono però un livello tale da mal coniugarsi con un finale che, a mio parere, risulta fin troppo sbrigativo e rischia di far storcere il naso agli spettatori più esigenti.

Lo Sciacallo si presenta comunque come un ottimo prodotto che, nonostante il mondo indagato, evita di far precipitare lo spettatore in quella sgradevole sensazione di “già visto” puntando i riflettori, o meglio, le telecamere sui (non) limiti del cinismo e dell’opportunismo dell’uomo contemporaneo.

 

Mario Rebussi

 

Titolo: Nightcrawler

Anno: 2014

Durata: 117 minuti

Regia: Dan Gilroy

Interpreti: Jake Gyllenhaal, Rene Russo, Riz Ahmed, Bill Paxto

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