La rivincita dei nerd. Edgar Wright’s Awesome Mix
È il Washington Post a spiegare come il nuovo heist movie di Edgar Wright sia cucito addosso alla musica che il regista aveva in testa da decenni, sin dall’incredibile inseguimento d’apertura. La storia, il montaggio, le portiere che sbattono, le luci che lampeggiano, i graffiti sui muri: tutto si muove al tempo stabilito dalle canzoni stipate negli iPod di Baby. E oggi, per celebrare un regista fantastico, parliamo proprio di musica.
Quando scrivo queste righe sono appena uscito dalla sala: fuori la pioggia, dentro Baby Driver. E quando esci dal cinema dopo un film così, non puoi che farlo ballando e cantando. Ma questa è la sensazione che ho sempre provato guardando Wright, per il modo unico in cui lega soundtrack e narrazione; ed è anche questo a far la differenza fra un virtuoso come Damien Chazelle, che per mettere la musica al centro di un film deve parlare di musica, e un genio irregolare come Edgar Wright, per cui la cultura pop è un pezzo della vita quotidiana infilato sotto la pelle dei suoi amati nerd.
I film di Edgar Wright suonano, ed è per questo che uno dei modi più sensati di raccontarli è partire dalle canzoni che raccolgono. Ne ho selezionate una trentina per la playlist Edgar Wright’s Awesome Mixtape: fate partire lo shuffle, e garantisco che Simon Pegg, Nick Frost e Michael Cera si materializzeranno davanti ai vostri occhi. Di che parlo? Ve lo spiego qui sotto.
Quello che ho visto di Edgar Wright (parecchio) mi basta per portarlo in palmo di mano e pensare “ok, lui davvero rivoluziona il concetto di nerd al cinema”. Non le macchiette di Big Bang Theory o le baracconate Marvel: qui si parla di nerd veri, e se non mi credete partite da Spaced.
Spaced (1999-2001) è una sitcom Channel 4 durata due stagioni. Una roba oggi inimmaginabile per libertà creativa perfino sui network più permissivi, in cui compaiono per la prima volta i due attori-feticcio Nick Frost e Simon Pegg. Già qui la musica è centrale per cogliere twenty-something spaesati al tramonto della cultura rave e dei Novanta: non slacker filosofeggianti alla Coupland e Linklater, ma cazzari che passano giornate e giornate al pub a parlare di videogiochi. I suoni sono quelli sintetici di fine millennio: nella playlist troverete Fatboy Slim, i Propellerheads, perfino i Mercury Rev con un brano poi remixato dai Chemical Brothers; ma non manca nemmeno il brit-pop chitarristico, nè quello timidone dei Belle & Sebastian, nè quello di massa degli Oasis.
Lo stesso feel si percepisce in Shaun Of The Dead (2004) – in italiano L’Alba dei Morti Dementi – primo capitolo della Trilogia del Cornetto (a voi scoprire il perché). Anche qui il pub è il centro di tutta la trama, una commedia romantica con zombie; anche qui la musica racconta gli eventi piuttosto che accompagnarli: Shaun attraversa una città di morti viventi al suono pigro di Ghost Town; Shaun fa zapping e becca notiziari che parlano di un’epidemia inframmezzati a Panic; Shaun e compagnia malmenano zombie al ritmo di Don’t Stop Me Now.
Hot Fuzz (2007) è la storia di un super-poliziotto relegato in una cittadina di campagna: una storiella classica che si fa geniale parodia/omaggio a buddy movies come Point Break e Bad Boys, omicidi e sparatorie infilati a forza nella campagna britannica. E allora si sceglie la lingua pop dei Kinks, degli XTC e del mattissimo Arthur Brown, con la chicca finale della Caught By The Fuzz dei Supergrass – un quindicenne arrestato per possesso di droga alla fine di un film del genere, giusto per chi non avesse colto il vago sarcasmo dell’insieme. Così arguto e britannico, se Hot Fuzz fosse un disco sarebbe Parklife.
Il terzo e ultimo capitolo della saga – sempre con Pegg/Frost – fa i conti col tempo, ma lo passa al frullatore della fantascienza: i due protagonisti si ritrovano con vecchi amici per una rimpatriata alcolica, solo per scoprire che gli abitanti della loro cittadina sono stati sostituiti da alieni. The World’s End (2013) è la fotografia di quarantenni che sono stati giovani e belli ai tempi della seconda Summer Of Love – quella che vedete in This Is England ‘90 – e ancora non si sono fatti una ragione di quello che è successo dopo: i suoni che arrivano da lì sono quelli della dance che si mischia al rock, della Madchester di Stone Roses, Happy Mondays e Inspiral Carpets, e del primo brit-pop (Suede, Pulp, James). The World’s End è una commedia, ma di quelle amarissime; e infatti te la godi come una reunion dei Roses e mette la stessa malinconia.
Apice del Wright-ismo, Scott Pilgrim vs. The World (2010) è un flop al botteghino ma la migliore celebrazione possibile del nerdismo da cameretta – il giovane bassista Scott alle prese con la Lega dei Sette Malvagi Ex per la conquista della bella Ramona Flowers, che tutti abbiamo amato a un certo punto della vita. Le canzoni, appropriatamente, sono esplosioni da fumetto: garage da tre accordi (Sex Bob-Omb, Black Lips, Eels) e romanticherie assortite (T.Rex, Rolling Stones, Broken Social Scene). Da catalogare alla voce “classici immeritatamente mancati”.
E siamo alla fine, perché qualche giorno fa è arrivato Baby Driver e abbiamo avuto modo di rifarci gli occhi con uno spettacolo di suoni, colori e virtuosismi alla cinepresa, che darà forse a Edgar Wright il successo che ha sempre meritato. Correte a vederlo, ma prima provate a chiudere gli occhi e ascoltare Jon Spencer, i Queen di Brighton Rock, Sky Ferreira, Run The Jewels e Kid Koala: sarà davvero come stare lì, davanti allo schermo, immersi nell’azione.
Francesco Pandini