Cracovia, tra rigore apollineo e slancio dionisiaco
Cracovia è una città che sfoggia il suo fascino in maniera distratta e fugace, benchè la sua bellezza sia tangibile e compatta nelle solide architetture medievali che ne costituiscono il cuore pulsante. Non aspettatevi di essere abbagliati dallo splendore dell’antica capitale reale: Cracovia seduce il viaggiatore con garbo e discrezione, esibendo i propri tesori preziosi senza malizia né arroganza, e concedendosi a poco a poco, col suo carattere spiritoso ma al contempo assennato. Vi basterà oltrepassare le antiche mura che incastonano lo Stare Miasto, la città vecchia, per capire che gran parte dell’avvenenza sprigionata dalla più visitata città della Polonia risiede proprio nella sua natura instrinseca, in grado di oscillare camaleonticamente tra ragione e follia o, meglio, tra rigore apollineo e slancio dionisiaco.
Prendete le vie che contornano il Rynek Glowny, la piazza del mercato medievale più grande d’Europa: lastricate e pulite, percorse da carrozze e situate al posto giusto nel disegno geometrico che le fa convergere sotto le arcate dell’antico mercato dei tessuti, oggi sede della galleria di pittura polacca del XIX secolo. Aggiungete a questo il freddo pungente, gli sguardi taglienti degli abitanti e la toponomastica locale che aborrisce l’esistenza delle vocali, e avrete in mente un quadro perfetto di tutto quello che Cracovia NON è. O almeno, non solo.
Concentratevi anche su “tutto il resto”, ossia il vero calore di una città che risplende sì della propria inattaccabile ricchezza artistica, ma anche e soprattutto dela luminosa intensità di quel che si vive oggi, e di ciò che in altre epoche è stato vissuto all’ombra della basilica gotica di Santa Maria, ai piedi del castello di Wawel, nel quartiere ebraico di Kazimiers, nelle acciaierie comuniste di Nowa Huta. Vi renderete presto conto che Cracovia è una città incredibilmente viva, pur nel suo stile compassato.
Tanto per cominciare, durante il vostro tragitto verso il Rynek, fermatevi a uno dei numerosi carretti che trovate ad ogni angolo; una donna anziana sarà estremamente felice di vendervi un obwarzanek (tranquilli, basterà indicare quello che volete, senza proferir parola), lo snack tipico della città, che potremmo facilmente sminuire descrivendolo come “ciambella di pane”.
Qualche vetrina vintage più in là -a voi il divertimento di distinguere tra i negozi quali siano retrò per vocazione e quali invece siano ancora vittima dei piani quinquennali-, comincerete a intravedere la torre dell’orologio, antica prigione, che dall’alto veglia sull’ingente scultura bronzea di Mitoraj, “il volto di Eros bendato”. Perdetevi dunque, da bravi turisti, tra le due fila di bancarelle del mercato coperto, dove sarete pronti a contrattare il prezzo di ciabatte imbottite, sciarpe, giochi in legno e, soprattutto, gioielli in ambra, pietra diffusa e lavorata in tutto il paese.
Una volta superate le orde di giovani che distribuiscono volantini, e quelle degli uomini sandwich che recano su se stessi le direzioni per “i migliori ristoranti” della zona, concedetevi il piacere di un kawa o di una czekolada in un bar dalla vera anima cracoviense. Benchè la scelta sia ardua, noi ci fidiamo di Wislawa Szymborska, la scrittrice polacca per antonomasia e premio nobel per la letteratura, che si è talvolta lasciata ispirare nella stesura dei suoi versi dall’ambiente famigliare del Nowa Prowincjia. Qui la grande sfida è trovare due sedie uguali, o eventualmente una su cui sedersi nei pomeriggi di pioggia; vecchie locandine alle pareti, poeti, candele e un’atmosfera quasi casalinga, rendono questo salotto il più gettonato per le migliori conversazioni filosofiche, specie dopo un paio di birre. Una volta rifocillati, recuperate la via principale seguendo la musica degli artisti di strada, e preparatevi ad ascendere al castello di Wawel, da dove il vostro sguardo dominerà sulla Vistola e su tutta la città.
Questa fortezza, in tempo di occupazione nazista, fu sede del Governatorato Generale, autorità tedesca guidata da Hans Frank. Se volete avere un interessante spaccato della vita cracoviense negli anni della Seconda Guerra Mondiale, una visita al museo della fabbrica di Shindler potrà essere un valido strumento di riflessione e scoperta. Quest’ultima, resa nota al grande pubblico dalla celebre pellicola di Spielberg, si trova nella zona del vecchio ghetto di Cracovia, a Podgorze, anche se il regista ha girato alcune scene nel quartiere di Kazimiers, ritenuto più fotografico.
Il quartiere ebraico, infatti, svela degli scorci suggestivi e allo stesso tempo pregni di tensione emotiva; il pensiero alle decine di migliaia di Ebrei che prima della guerra vivevano nel quartiere e che a poco a poco sono state stipate prima nel ghetto e poi in treni per la non lontana Auschwitz, è inevitabile. Tuttavia, è importante sottolinearlo, Kazimiers è un quartiere gioioso e pieno di vita, un audace affronto alla storia e alla bestialità umana, e per giunta perfettamente riuscito.
Verso sera, quindi, fatevi largo nella piazza centrale e cercate di guadagnarvi, dopo una estenuante coda –ne vale la pena!- la migliore zapiekanka di tutta la Polonia. Si tratta, di nuovo sminuendo brutalmente, di una bruschetta dalle dimensioni di una baguette. Quando vi sarà chiesto con cosa farcirla, sorridete e annuite: comunque vada sarà un successo. Affogate tale ben di dio con una birra –magari aromatizzata al ginger o al malinow (lampone)- al bar Alchimia, giusto all’angolo. Qui, un groviglio di tavoli e tavolini si snoda dietro le porte-armadio e tra le sedie da cinema, in un locale dalla luce soffusa e dall’ambiance surreale…dopo un paio di krupnik honey wodka (un must!) potreste quasi convincervi di essere a Narnia.
Invece no; siete a Cracovia. E come tanti altri avete invano creduto di poterla visitare, così concisa e algida nella sua bellezza, così modesta nonostante il suo valore artistico e storico. Ma questo, con o senza vocali, non è affatto facile: una volta arrivati, sebbene turisti, finirete col viverla e, forse, amarla un po’.
E’ così che Cracovia ti coglie alla sprovvista.
Elisa Cugnaschi
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