Due Date (si legge “diù deit”), o di come i critici talvolta...

Due Date (si legge “diù deit”), o di come i critici talvolta non capiscono perfettamente nulla.

Fare buoni film comici, in altre parole non commedie romantiche o intellettuali/indie, è davvero difficile. Il genere della commedia è uno dei preferiti di Hollywood, che però ne abusa con crudeltà solo per spremere da audience tonte e rimbambite qualche milioncino di dollari, giusto per arrivare a fine mese.

Regia inconsistente, recitazione pietosa, trama nulla… spesso e volentieri i film catalogati sotto il genere comedy di Google o, per i più difficili, Rotten Tomatoes, fluttuano in un mondo tutto loro, vacuo e nebuloso, un limbo in cui entrano ancor prima di essere nati, snobbati dalla critica e dal pubblico pseudo-intellettuale, e glorificati/umiliati dalle risate rozze di pubblici ignoranti. E purtroppo la forza d’attrazione di questo limbo è talmente forte che molto di frequente anche buone commedie si ritrovano a precipitarvi, il loro destino segnato senza che nessuno gli abbia mai rivolto uno vero sguardo.

È il triste caso di Due Date (no, non cito nemmeno tra parentesi la traduzione italiana), una delle più esilaranti commedie che abbia mai avuto la gioia di vedere. Pur non essendo una grande amante del genere, e pertanto non potendomi considerare un’esperta, con Due Date è stato colpo di fulmine: la meravigliosa accoppiata Robert Downey Jr. / Zach Galifianakis funziona alla perfezione, e mantiene un ritmo sostenuto per tutta la durata del film, quasi mai esagerato. Ogni elemento della commedia funziona stupendamente, non abusa della facile arma della volgarità per spremere risate stanche,  e lo spettatore si ritrova anzi spesso a desiderare una pausa per far riposare la mascella indolenzita.

...per tacer del cane
…per tacer del cane

Robert Downey Jr. (Peter Highman) è un architetto che, tornando a casa per essere presente alla nascita del suo primo figlio, ha la sfortuna di trovarsi come vicino in aereo Zach Galifianakis, aspirante attore diretto a Los Angeles per entrare nel mondo della televisione (una delle scene migliori del film renderà il suo nome d’arte, Ethan Tremblay, leggenda). Quest’ultimo attacca subito bottone e nel giro di cinque minuti riesce abilmente a farsi buttare giù dall’aereo prima del decollo, coinvolgendo anche il povero Peter. I due vengono schedati dalla polizia aeroportuale, e conseguentemente impossibilitati a prendere un successivo aereo, mentre le loro valigie sono allegramente in volo verso Los Angeles. Il povero Peter tutto si ritrova pertanto costretto ad accettare un passaggio in macchina attraverso gli Stati Uniti dallo strampalato e permanentato Ethan, con tanto di carlino Sunny al seguito –in quanto Ethan aveva saggiamente (e stranamente, visto il soggetto) il portafogli in tasca.

La trama non è certamente brillante o particolarmente originale, ma il ritmo della sceneggiatura è davvero impeccabile, e i dialoghi geniali (non passa giorno senza che tra il mio ragazzo e me venga inscenata l’esilarante parte del “provino” nel bagno dell’autogrill – “Julia Roberts, as you know, we are engaged. I have terminal cancer.”) Quando un disperato Peter si rende conto che la maggior parte del denaro contante in possesso di Ethan è stato speso il primo giorno di viaggio in marijuana terapeutica, si trova costretto a chiamare la moglie per farle trasferire dei soldi sul conto di Ethan. Allo scoprire che quest’ultimo aveva omesso di comunicare che Trambley è solo il suo nome d’arte, e pertanto non valido, la pazienza e la razionalità di Peter insieme cominciano a vacillare, e come bizzarra conseguenza di ciò i due cominciano pian piano a trovare un piano umano comune.

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Tra il susseguirsi frenetico di gag classiche, ma rese memorabili dalle interpretazioni della bizzarra, impensabile coppia, c’è anche un po’ di spazio per una vaga traccia di serietà autoironica, che è forse il modo migliore di essere seri. Una scena seria che si prende sul serio ci costringe ad accettarla come tale, e probabilmente nella testa dello spettatore l’accensione della parte di cervello che causa una riflessione anche minima non avviene nemmeno: ma insomma, stiamo guardando una commedia, nessuno vuole fare qualcosa di così platealmente non-comico come pensare! Ed è assolutamente giusto così, perché la riflessione vera è quella che avviene, se avviene, a film (o libro, o conferenza, o conversazione) concluso. Durante l’atto passivo della visione di un film tutte le emozioni che crediamo di provare sono in realtà il frutto di studio accurato, e anche il cinefilo più accanito si può spesso e volentieri ritrovare a spremere la sua bella lacrimuccia a causa di un bacio melenso sotto la pioggia, e la sua lacrima colpevole altro non è che il frutto di una sviolinata al momento adatto e di un paio di primi piani anch’essi appunto lacrimosi.

Per questo non posso fare a meno di amare Due Date alla follia, e di riguardarlo ad intervalli regolari (e frequenti, lo ammetto). Perché mi fa fare delle sane, grasse risate scevre da sensi colpa perché non causate da battute sempliciotte, razziste, sessiste ecc, ma soprattutto mi fa amare un pochino questa a volte orribile razza umana. Perché tutti noi siamo Peter, e ci comporteremmo esattamente come lui in una situazione del genere. Considereremmo tutti il Nathan di turno un disadattato che ci sta facendo perdere tempo e pazienza, lo insulteremmo, lo tratteremmo da idiota e con condiscendenza. Invece quando le barriere della “normalità” e dell’efficienza cominciano ad infrangersi, Peter si trasforma da emerito stronzo perfettino in essere umano ricettivo. La bontà dell’insopportabile ma adorabile Nathan di turno riuscirà ad penetrare la corazza che ognuno di noi indossa ogni giorno, per sopravvivere, ma anche e soprattutto per non essere noi additati come disadatti, come freak – ci riuscirà solo se lasciamo cadere le nostre difese. In un mondo in cui l’essere strampalati non è accettato dopo una certa età o al di fuori di certi ambienti, l’amicizia tra Peter e Nathan mi fa sorridere. E anche se è forse un po’ sempliciotta, e di certo non raffinata o intellettuale, è vera e fa bene.

Ok dopo la parte seria, che avrà convinto tutti i lettori a correre a guardare questo capolavoro, lo possiamo dire: la regia è di Todd Phillips, direttore e produttore della serie di Una Notte da leoni, e dell’esilarante Old School.

 

 

Titolo originale: Due Date

Anno: 2010

Regia: Todd Phillips

Cast: Robert Downey Jr., Zach Galifianakis, Jamie Foxx, Michelle Monaghan

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