Patrizia Cavalli e i temporali
Ovvero, quanta colpa dovete dare al meteo per i vostri struggimenti d'amore.
Patrizia Cavalli, penna sublime di Lodi e di Roma, fuori dal circolo dei poeti di instagram e piu’ solenne di Guidone, scientificamente si domanda.
Si domanda la costruzione archetipa della chimica cerebrale, un perche’ di fondo all’architettura della cellule: i percorsi intrinseci, elettrici, sofistici dell’elaborarsi del pensiero nei meandri della testa. Quasi che a sentire cosi’ tanto, spaziare cosi’ tanto, stupirsi cosi’ tanto non si fosse vittima di un errore del caso.
E che ci fai, Patrizia, con questa svista biologica?
Regali una manciata di versi che sono una mezza confessione – un sentire fortissimo che aiuti la sopravvivenza, il navigare silenzioso in mezzo agli altri. Hai nel cuore una finzione d’affetto per quei pochissimi eletti, volti rarefatti, anelito di pelle sulla pelle. Per poi confessare – versi che sono lame ma forse pure un’autoassoluzione – che tutto questo sentire, il clangore della festa nell’anima, la danza delle lacrime, non siano altro che una divinizzata meteoropatia, l’abile regia della grandine.
Gli alberi che ruotano, le nuvole che urlano, un corpo a corpo di fulmini e scrosci d’acqua a rompere gli ombrelli. L’umore che muta allo sciogliersi del cielo.
E se fosse, davvero, tutta colpa dei temporali?
*
Io scientificamente mi domando
come è stato creato il mio cervello,
cosa ci faccio io con questo sbaglio.
Fingo di avere anima e pensieri
per circolare meglio in mezzo agli altri,
qualche volta mi sembra anche di amare
facce e parole di persone, rare;
esser toccata vorrei poter toccare,
ma scopro sempre che ogni mia emozione
dipende da un vicino temporale.
(da L’io singolare proprio mio, 1992)